La Ciociara di Tutino

Cagliari, Teatro Lirico, dal 24 novembre al 3 dicembre

Il film è un cult che ha fatto la storia del cinema italiano. Ma ora La Ciociara, pellicola del 1960 diretta da Vittorio De Sica, è anche un’opera lirica in due atti di Marco Tutino che, dopo il debutto in prima mondiale a San Francisco nel 2015, sbarca, in prima esecuzione assoluta in Europa e nella stessa produzione firmata dalla regista Francesca Zambello, al Teatro Lirico di Cagliari. Qui, dal 24 novembre al 3 dicembre, vedrà esibirsi, come nella prima americana, Anna Caterina Antonacci nei panni di Cesira che, sullo schermo, furono di Sofia Loren, premiata con l’Oscar.
Come si è preparata per il ruolo che la mette a confronto con un mito del cinema internazionale?
“Da grande appassionata di cinema ho amato tantissimo il film La Ciociara. In quella pellicola Sofia Loren ha regalato al pubblico un personaggio straordinario che rimane nell’immaginario collettivo. Basti pensare alla sequenza che segue la violenza sulle donne quando la Loren lancia il sasso sulla camionetta dei soldati e impreca contro di loro. ‘Davvero impossibile competerle’, mi sono detta. Ho cercato allora di costruirmi una Cesira che fosse tutta mia, aiutata anche dalla musica di Tutino che mi offre melodie e momenti teatrali molto intensi”.
Quali caratteristiche vocali ed interpretative ha Cesira?
“È un’opera che mi vede praticamente sempre in scena in un ruolo che Tutino ha composto per me: centrale nella tessitura e tagliato sulle caratteristiche della mia voce. Un grande onore, ma anche un grande onere per la responsabilità di restituire un personaggio che si trova a vivere nel 1943, durante la seconda guerra mondiale. Tutino mi regala arie, soprattutto nel primo atto quando Cesira racconta alla figlia la sua Ciociaria e nel duetto d’amore con Michele, di una struggente morbidezza e poesia. Cesira è una donna rimasta vedova che scappa da Roma per sfuggire ai bombardamenti e si rifugia in un paesino della natìa Ciociaria insieme alla giovane figlia Rosetta. Quando arrivano gli alleati, le due donne faranno finalmente ritorno a Roma, ma durante il tragitto verranno violentate dai soldati marocchini che accompagnano gli alleati. A differenza del film, la figlia Rosetta sembra avere qui la speranza di un futuro più roseo e questa speranza di un avvenire migliore, lasciandosi alle spalle le brutture della guerra, sembra pervadere l’opera sul finale”.
In America l’opera è stata definita “pucciniana”. È d’accordo?
“Se con pucciniana s’intende sdolcinata assolutamente no. In questo senso si farebbe torto sia a Puccini, che è stato un compositore immenso, moderno e raffinato come pochi, sia allo stesso Tutino nella cui musica si trova molto altro. Credo che questa sia un’etichetta comoda e ormai usatissima per la critica per bollare un compositore come Tutino, forse perché non è nello stile della cosiddetta musica contemporanea, il più delle volte difficile da capire per il pubblico. Ne La Ciociara lo spettatore può appassionarsi alla storia comprendendone appieno il libretto e scoprendo, tra l’altro, un momento difficile del nostro Paese. Con Tutino siamo di fronte ad un linguaggio nuovo dell’opera che può benissimo convivere, a mio avviso, con quello di altri stili di opera contemporanea”.
Quanto l’ha aiutata sulla scena la regia di Francesca Zambello?
“È stato un sostegno fondamentale. Perché ha dato all’opera un taglio cinematografico molto incisivo che va di pari passo con la musica, soprattutto in alcuni momenti dell’opera come quello in cui sul palcoscenico vengono viste e vissute in contemporanea la fucilazione di Michele e lo stupro. Un coup de théâtre che ha fatto impazzire gli americani”.
Antonio Garbisa

 

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