Alla frequentazione dei musicisti Debussy preferirà quella dei poeti, prediligendo Baudelaire, Verlaine, Mallarmé, senza escludere i parnassiani che pure troveranno ineffabili reincarnazioni in tante “mélodies”. In particolare affiora l’affinità con Mallarmé per il modo con cui il poeta aveva compreso il senso della scrittura di Poe, altro autore amatissimo da Debussy che s’impegnò lungamente ad un’opera, rimasta incompiuta, tratta da La chute de la maison Usher; pensava il poeta che quella “architettura spontanea e magica” non significasse “la mancanza di calcoli imponenti e sottili…Essi stessi si fanno misteriosi di proposito. Il canto zampilla da una sorgente innata: anteriore a un concetto, con tanta purezza da riflettere all’esterno mille ritmi d’immagine”. Parole che, appunto, potrebbero riferirsi alla pagina debussyana, animata da quel respiro interno che amplia le prospettive verso orizzonti sfumati, mantenendo pur sempre percepibili i lineamenti di fondo variamente diramati, così come si intuisce il senso del periodo attraverso un passo ritmico diverso, che segna la misura di un tempo più occulto, arcano, dove la dimensione fuggevole dell’istante sembra trovare una subliminale convivenza con una proiezione irreversibile. E dove una chiave privatissima sono pure i silenzi, un parametro essenziale nella poetica del compositore, la cui “scoperta” è testimoniata quasi con segreta trepidazione fin dal 1893 in una lettera a Chausson in cui, parlando del Pelléas, dice di essersi servito “molto spontaneamente, del resto, di un nuovo mezzo che mi sembra abbastanza raro, cioè del silenzio, come di un fattore espressivo e forse il solo modo di far risaltare le emozioni di una frase”. Uno dei tanti consigli, da lui raccomandati, del “vento che passa”.
Anche se sono meno “importanti” le frequentazioni degli studi, la pittura rimane un aspetto non marginale dell’ispirazione debussyana, pur con i limiti di un’arte ancorata allo spazio e non al tempo. Come si coglie nelle parole rivolte il 25 febbraio 1906 al figliastro Raoul Bardac: “La musica ha questo di superiore alla pittura, ch’essa può riunire ogni sorta di variazioni di colore e di luce, cosa di cui si parla assai poco benché sia tanto evidente da saltare agli occhi”. Considerazioni che la critica ha soprattutto associato a La Mer e ai legami di questa composizione a certi tratti della pittura di Monet, specie osservando il modo di concepire coloristicamente le ombre; un gioco di corrispondenze colte da Camille Mauclair nel sostenere che “i paesaggi di Claude Monet non sono altro che sinfonie di onde luminose e la musica di Debussy, basata non sulla successione di temi, ma sul valore relativo dei suoni di per se stessi rivela una singolare affinità con questi quadri”. Che la pittura di Monet avesse interessato Debussy fin dalle sue prime esperienze musicali trova conferma nella curiosità con cui seguiva le esposizioni degli impressionisti e… (continua)
Gian Paolo Minardi
L’articolo completo di Gian Paolo Minardi è pubblicato nel numero 224 di “Classic Voice”