Ci sono cento battute di Don Pasquale che nessuno ha mai sentito. Neanche Donizetti. Si possono leggere nel manoscritto autografo che Riccardo Chailly ha studiato da cima a fondo prima di riportare sul palcoscenico scaligero, dopo vent’anni di assenza, il capolavoro comico donizettiano (alla Scala fino al 4 maggio). Centocinque battute, per la precisione, perfettamente strumentate e finite su cui il compositore appone dei vistosi tagli con una scritta inequivocabile: “Non si fa”. Ma per quali ragioni? Su questa domanda il maestro scaligero si è interrogato a lungo. “Si tratta di musica piena di inventiva e raffinatezza strumentale, disseminata in tutti e tre gli atti: nell’aria di Norina, cinque battute prima di ‘Quel guardo il cavaliere’; quindici nel duetto Norina/Malatesta; e poi ancora nell’aria di Ernesto e nel Quartetto del secondo atto; e poi nel coro e nel duetto Malatesta/Pasquale del terzo, fino al taglio che mi dispiace di più rispettare: ben venticinque battute nel duetto Norina/Ernesto. È una rinuncia dolorosa perché Donizetti intarsia le parti vocali con una preziosa linea ai violini primi che aggiunge una sfumatura d’inquietudine – quando il testo dice ‘lontan da te’ – molto appropriata al senso della parte tenorile”.
La storia “testuale” del Don Pasquale non è contorta: l’opera fu composta in poco più di due settimane per il Théâtre-Italien di Parigi. E il manoscritto lo racconta con una stesura che sembra nascere tutta d’un fiato, con una inventiva incontenibile. “Proprio per questo forse Donizetti sente la necessità di tornare sui suoi passi”, ragiona Chailly, “sacrificando interi blocchi già pronti per essere eseguiti. Perché lo ha fatto? Credo per ragioni esclusivamente teatrali. Donizetti in quegli anni era oggetto di critiche per la lunghezza delle sue opere serie. Così, in questa felicissima prova comica, decide di ‘riformare’ la prassi rossiniana: non bada solo ai tempi musicali – alla simmetria perfetta delle ripetizioni che in Rossini hanno una funzione strutturale – ma soprattutto a quelli teatrali”. La sforbiciata data all’ultimo momento è dunque “frutto dei tempi che cambiano, ma probabilmente pure di un condizionamento psicologico. In molti casi, infatti, i ‘sacrifici’ che Donizetti decide di autoimporsi non erano necessari, perché a conti fatti queste cento e più battute non compromettono affatto il ritmo e l’efficacia teatrale”.
Chailly utilizza la revisione della partitura dei primi anni Settanta curata da Piero Rattalino sul manoscritto autografo. Rispetto alla versione d’uso contiene centinaia di indicazioni d’autore (dinamiche, accenti, fraseggi) che il direttore rispetta scrupolosamente. Ma non rende conto dei tagli che pure sull’autografo sono segnati in maniera vistosa. “Non è un’edizione critica”, precisa Chailly, “e negli anni in cui fu redatta non c’era una grande sensibilità editoriale per la conoscenza del processo compositivo. In un’auspicabile nuova pubblicazione, condotta con strumenti filologici aggiornati, sarebbe importante che le battute mancanti venissero pubblicate, magari in appendice. Mi piacerebbe molto poterle eseguire”. Anche andando contro l’ultima volontà di Donizetti? “Sarebbe comunque un contributo alla conoscenza: non si tratta di semplici abbozzi. E poi siamo sicuri che Donizetti non fu influenzato da situazioni contingenti? Il bellissimo tema dei violoncelli all’inizio della Sinfonia, nel manoscritto è raddoppiato dai corni: un ritratto timbrico ‘spurio’, molto più giusto per il vecchio Don Pasquale. Il compositore poi taglia i corni, li cancella con una linea netta. Ma dalle testimonianze sappiamo che il livello dell’orchestra alla ‘prima’ parigina non fu soddisfacente. L’omissione dei corni non ha nulla a che fare con questa circostanza? Io una mano sul fuoco non ce la metterei”.
Andrea Estero
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