interpreti L. Ganci, M. Katzarava, F. Landolfi, G. Sala direttore Guillermo Garcia Calvo orchestra Teatro Comunale di Bologna regia Graham Vick regia video Daniele de Plano sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Cor., Giap. dvd Naxos 2.110590 prezzo 24,30
Il video documenta – e non lo si fosse deciso sarebbe stata colpa capitale – uno degli spettacoli più incontrovertibilmente geniali degli ultimi decenni. Notissimo, ormai, questo “Stiffelio in piedi”, ovvero azione svolta nella platea del meraviglioso teatro Farnese (che teatro, ricordiamolo, non è giacché nacque come luogo per tornei e dunque una qualche giustificazione dell’essere pessima la sua acustica ce l’ha) col pubblico in piedi sollecitato a muoversi liberamente da e verso le piattaforme rialzate su cui si svolgeva l’azione. Ovvio il precedente: l’Orlando Furioso che nel 1969 Luca Ronconi allestì a Spoleto e portò poi in giro per mezza Europa passando di trionfo in trionfo. Dice: ma quello era teatro di prosa, qui c’è la musica e non può essere. Invece sì. Persino a Parma, alla fine d’ogni recita solo applausi scroscianti e neppure un buetto tanto per rispettare i pronostici che promettevano sfracelli.
Lo spettacolo l’ho recensito io su “Classic Voice”, con regolare lavata di capo del direttore perché l’entusiasmo mi aveva fatto sforare di molto lo spazio: dunque non scendo in dettagli rammentando solo l’idea portante della regia vera e propria, quella di sottolineare la benpensante ipocrisia borghese tanto efficacemente denunciata da Verdi con la vicenda del pastore protestante che perdona in pubblico la moglie adultera mentre la di lei famiglia (sorella in spirito dei guardiani della sacralità familiare – coristi e mimi – che si aggirano nel pubblico abbracciando ora questo ora quello e porgendo libercoli nonché srotolando sulle gradinate manifesti da Family Day) ammazza l’amante onde nascondere la colpa. Idea centrale svolta con implacabile logica e con la strepitosa efficacia di alcune situazioni a latere dell’azione centrale, il cui senso (frustrazione di lei, cecità di lui, biechezza del padre, egoismo dell’amante, violenza cieca del fanatismo) viene evidenziato con un senso teatrale semplicemente portentoso: cito solo le ronde anti gay che prendono a calci due ragazzi che si baciano; o i tanti anonimi persuasori occulti che, dopo la maledizione del capo alla moglie fedifraga, ci passano accanto ripetendo in perfidi sussurri “sia maledetta” onde ribadire l’unicità della morale, quella ovviamente da imporre dall’alto. L’ipocrisia. L’ipocrisia schifosa di chi predica le regole, impone con violenza esplicita o – peggio ancora – occulta, il cosa sia bene o male nel quotidiano vivere privato fatto divenire verità pubblica: Verdi esattamente questo descrive (in un’opera che tuttora resta semisconosciuta mentre meriterebbe senz’altro un posto di riguardo tra le sue maggiori) e genialmente Vick la mette in scena senza mezzi termini.
Restava da vedere se uno spettacolo geniale senz’altro ma che la particolarità del luogo rendeva d’impostazione problematica, sarebbe potuto “passare” in video. Certo, resta fermo che va perduto l’impatto emozionale dell’essere parte integrante dell’azione: ma il regista de Plano (che ha firmato in proprio molte regie di prosa e liriche) ha svolto un lavoro eccezionale, che riesce a rendere appieno il senso dello spettacolo attraverso riprese movimentatissime ma sempre fluide e aderenti a uno svolgimento narrativo che in teatro era di coinvolgimento immediato e totale, ma che le innumerevoli controscene o addirittura episodi in contemporanea si presentavano ardue da fissare in immagini, tutte invece risolte con estrema abilità.
Se poi qualcosa, rispetto alla recita dal vivo, si perde in emotività, molto si guadagna in ascolto: la ripresa audio essendo riuscita in modo eccellente annullando i problemi dell’infelice acustica del Farnese. Si apprezza dunque ancora di più un cast ogni componente del quale sputa l’anima tanto vocalmente quanto scenicamente, mostrando quanto abbiano creduto in questo progetto, che appunto perciò rendono tanto entusiasmante. Il coro bolognese, magnifico nell’aplomb tanto difficile in quel contesto, e fenomenale nell’azione. L’orchestra, guidata benissimo da Calvo che segue e tiene eroicamente insieme tutti. Luciano Ganci regge una delle scritture più carogne facendo capire le ragioni per le quali è scritta così (le continue salite all’acuto come guizzi di psiche fanatica, nevrotica, incontrollata perché al fondo debole): bella voce, linea solida, lunghezza mirabile di fiati. Maria Katzarava, magnifica: appoggia e proietta con solida tecnica una linea omogenea, luminosa, sicurissima nelle fiondate in alto e nei precipizi in basso, fraseggiando con temperamento al calor bianco. Francesco Landolfi è un filo più prudente ma regge anche lui una parte tra le più ardue, venendo a capo anche dell’infernale cabaletta del terz’atto. Benissimo il Raffaele di Giovanni Sala, lo Jorg di Emanuele Cordaro, la spiritata Dorotea di Cecilia Bernini.
Elvio Giudici
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