pianoforte Maurizio Baglini cd Decca 4817666 prezzo 18,60
Il nuovo disco schumanniano di Baglini propone dei criteri di lettura spesso differenti da quelli che normalmente si percepiscono attraverso registrazioni storiche e non. Il problema è che molto spesso questi criteri o non rispettano il testo o a mio parere falliscono nella ricerca di muovi contenuti narrativi. L’incipit dei Fantasiestücke risolve in un alone di suono piuttosto confuso quella che è la notazione di miracolosa perfezione di scrittura a parti (Rattalino vi coglieva lo schema di un sestetto). La parte centrale del n. 2 perde del tutto la meraviglia dello spunto narrativo e la linea melodica è continuamente spezzettata, come accade nella maggior parte degli altri numeri, in cui Baglini non segue mai un andamento regolare ma procede attraverso una frammentazione che non solo non segue la tradizione (e non sarebbe questo a priori un motivo di demerito) ma non aggiunge niente al significato, all’individualità del singolo numero della raccolta. Agli otto numeri tradizionali Baglini aggiunge qui una breve appendice poi espunta dall’autore, una piacevole curiosità che non scalfisce minimamente l’assetto di questa celebre composizione. Arabeske è presa a una velocità molto inferiore alla media, e anche qui il problema non sta nel variare quanto già affermato da decine e decine di interpretazioni storiche, quanto nell’utilizzare le proprie scelte per estrapolare dei nuovi contenuti. Peccato che non venga rispettata l’alternanza voluta da Schumann nelle sezioni centrali dell’opera (il primo intermezzo “Minore I” è indicato come Etwas langsamer, ossia un poco più lento, ed è invece eseguito più veloce del ritornello e lo stesso dicasi per il “Minore II”). Non si tratta di osservazioni testuali pedanti, sia ben chiaro, ma di variazioni che snaturano i significati del testo stesso. Anche la famosissima seconda Romanza dell’op. 28 è condotta a una lentezza che diluisce troppo il significato emozionale del pezzo, mentre più indovinata è la scansione del terzo e ultimo numero, che fa riferimento all’idea davvero ossessiva di “Marcia” tipica della poetica schumanniana. Baglini aggiunge qui un numero tratto dal catalogo delle opere postume, che altro non è che un motivo secondario di una delle Novellette dell’op. 21. Bello, ma di poco effetto se separato da quel contesto. I Gesänge der Frühe op. 133, un tempo di rara esecuzione e riapparsi in concerto essenzialmente per merito di Pollini già dagli anni ’80, hanno un carattere parzialmente astratto che forse meglio si presta ad azzardare dei percorsi diversi dal solito. Qui Baglini mantiene invece una condotta abbastanza prudente e tradizionale e tutto sommato ci regala il momento migliore del disco. Il suono del pianista è sempre molto bello e controllato.
Luca Chierici
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