Le grandi orchestre e le scoperte. I pilastri del pianismo mondiale e i loro eredi. Il Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo conferma la sua doppia vocazione tagliando il traguardo delle 56 stagioni. Il direttore artistico Pier Carlo Orizio, sul podio della Royal Philharmonic il 9 e 10 maggio (programma tutto brahmsiano: Quarta Sinfonia e Primo Concerto, Alexander Romanovsky solista), spiega come orientarsi nella cinquantina di appuntamenti che hanno preso il via il 15 aprile al Teatro Sociale di Bergamo con la Basel Symphony Orchestra nel Requiem tedesco di Brahms.
Perché “Musica velata” come recita il titolo del Festival?
“Abbiamo rubato l’espressione a Schumann, che ascoltando la Sonata op. 1 di Brahms parlò di “Sinfonia velata”. Questa edizione è dedicata a loro, a un incontro artistico che, passando per Clara Wieck, ha illuminato la strada musicale dell’intero XIX secolo”.
Royal Philharmonic e Budapest Festival Orchestra le punte della programmazione sinfonica.
“A parte l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam abbiamo ospitato tutte le grandi orchestre del mondo, dai Berliner alla Chicago Symphony. È un impegno preciso, unito alla crescita della Filarmonica del Festival. Le linee guida sui solisti non cambiano: mantenere i grandi pianisti che hanno fatto la storia e quelli che la scriveranno”.
Sokolov, Ax, Volodos, Romanovsky, Lupo, Bollani si legge nel cartellone. Chi segnala o chi consiglia tra le giovani promesse?
“Alexandra Dovgan (nella foto, ndr), che si esibirà il 17 maggio all’Auditorium San Barnaba di Brescia. È nata nel 2007, ha 11 anni, me l’ha consigliata personalmente Grigory Sokolov. Non esiste un limite minimo d’età per i talenti. Quando la sentirete suonare capirete perché. Anche Gergiev l’ha voluta con sé a suonare. In Italia la ascolteremo per la prima volta”.
È la rivincita della scuola russa su quella cinese?
“Non so se esista (ancora) una scuola esclusivamente russa. Di sicuro so, per aver lavorato a lungo in Cina come direttore artistico, che in quel paese-continente ci sono 50-60 milioni di studenti di pianoforte, con genitori disposti a immani sacrifici pur di vedere i loro figli affermarsi. Là il fallimento del pianista comporta il fallimento dell’intera famiglia. C’è un senso della missione assoluto. Che in Italia ci scordiamo, perché qui abbiamo sempre la seconda e la terza possibilità”.
Nel 2008 lei fu tra i primi in Italia a invitare Yuja Wang.
“L’avevo vista per la prima volta su Youtube e mi bastò quell’ascolto, nel Secondo Concerto di Prokof’ev, per capire che dovevo assolutamente chiamarla al Festival, dove poi sarebbe tornata molte altre volte. Non è vero che l’Oriente produce pianisti-macchina. In loro c’è molto di più di una straordinaria tecnica digitale. C’è disciplina, purezza d’approccio, naturalezza. Poi è chiaro che con un bacino così vasto, per la legge dei grandi numeri, è più facile incappare in un genio”.
Altri talenti che andranno ascoltati?
“Ci sarà George Li, medaglia d’argento al Ciajkovskij 2015; Sunwook Kim, coreano, vincitore del Leeds nel 2006 a soli 18 anni; e per la prima volta in Italia il russo Ivan Bessonov, che ha 16 anni e ha già avuto la benedizione di Valery Gergiev”.
Luca Baccolini
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