Donizetti – Lucrezia Borgia

[interpreti] J. Sutherland, M. Elkins, R. Stevens, R. Allman
[direttore] Richard Bonynge
[regia] George Ogilvie
[orchestra] The Elizabethan Sydney Orchestra
[dvd] Opus Arte OA F4026 D

È una vera fortuna che il video abbia captato addirittura tre versioni ufficiali di Lucrezia Borgia con Joan Sutherland. Si diceva un tempo, negli anni ’60, segnati dall’uscita di scena della Callas e dal predominio dei grandi soprani dell’era successiva (Scotto, Gencer, Sills, Caballé) – che “La Stupenda” era più brava in disco che in palcoscenico, sollevando curiosi interrogativi in chi, per ragioni anagrafiche, collezionava i suoi dischi, ma non l’aveva potuta vedere a teatro, salvo che nelle ultime apparizioni. Si trattava, ovviamente, di una sciocchezza. Dame Joan non incarnava certo il prototipo della cantante-attrice: ma quale carismatica presenza emergeva dal pur tradizionale repertorio di gesti e di pose melodrammatiche. E quale carica teatrale di adrenalina pura scatenava, nell’impatto con il pubblico, la sua figura maestosa e imponente (accentuata da abiti al limite del kitsch, che pure le calzavano a pennello). La Sutherland, insomma, era un autentico “animale” scenico: una specie (oggi in via di estinzione) di sublime incantatrice, grazie alla voce favolosa (fattasi, a metà degli anni 70, più corposa al centro, senza perdere di morbidezza e di lucentezza nello svettante registro acuto) e alla sicurezza sorprendente con cui ogni difficoltà era risolta (dopo uno studio indefesso) come se fosse la cosa più facile del mondo. E poi c’è l’interprete, che era “virtuosa” nel senso positivo e pieno della parola: basti ascoltare il languore lunare della cavatina, lo slancio del duetto con Alfonso o la scalata vertiginosa del pentagramma nella tragica cabaletta finale. Interprete pluridimensionale e perfetta rappresentante del belcanto. Dolcezza, furore, coloratura funambolica e non una frase eguale a se stessa: in questa Lucrezia Borgia dal vivo a Sydney del 1977 c’è tutto, anche se, bisogna riconoscere, gli altri esecutori non sono allo stesso livello. Per questo motivo, è di gran lunga preferibile il dvd delle recite londinesi del 1980 (Pioneer), che per giunta la vedono accanto al maggiore Gennaro del dopoguerra, cioè Alfredo Kraus, in una forma stellare, inarrivabile in tutta la parte, ma soprattutto nella grande aria scritta da Donizetti per il tenore Ivanoff, di fresco sottratta alla polvere degli archivi (anche lo spettacolo è più aggiornato rispetto a quello australiano). Il video migliore in assoluto, comunque, è quello relativo alle recite scaligere del 2002, con la regia di Hugo de Ana, l’unico regista che sia riuscito a ricostruire in modo credibile il mondo cinquecentesco e a dipanare in modo originale il lugubre intreccio tra potere, erotismo e chiesa. E gli interpreti lo seguono a meraviglia: Mariella Devia canta in maniera semplicemente divina e senza tagliare una nota (ed anzi con variazioni al limite dell’impossibile nel finale): ma soprattutto interpreta un personaggio nuovo, una Lucrezia che non si esprime a singulti, improbabili discese nel grave o gonfiando la voce, ma con la più candida e spontanea semplicità di questo mondo. Così che, dietro al canto impeccabile, emerge un personaggio più sfaccettato, meno matronale e più inquietante del solito. In breve: tanto la morbosa e trepida sensualità, quanto la sottile ipocrisia (il duetto con Alfonso è un capolavoro, grazie anche alla presenza di Michele Pertusi, che schiaccia ogni confronto con qualsiasi Alfonso del passato) fanno di questa Lucrezia assai consapevole delle proprie origini (ingegnosa idea di De Ana) un punto di riferimento. Tra i cd, si deve segnalare quello Rca del 1966 – con una sognante e malinconica Caballé (una Lucrezia in versione più materna, ma non priva di grinta, che proprio in questo ruolo fece sensazione a New York nel 1965) e Alfredo, Kraus, un miracolo di purezza, e una brava Verrett – e quello Decca del 1977, che vanta la maggiore compattezza dell’insieme: ha i suoi punti di forza, infatti, non solo nella Sutherland e nella buona prova di Aragall e Wixell, ma anche nell’eccezionale prestazione di Marilyn Horne (sempre la migliore in assoluto nel ruolo di Maffio Orsini) e nella guida ispirata di Richard Bonynge. In conclusione, è giusto menzionare un’altra grande Lucrezia, Leyla Gencer, che spese cospicue energie per questo ed altri personaggi donizettiani, infondendo loro il sigillo della propria personalità. Erano anni in cui il modello Callas esercitava un’irresistibile attrazione e, sulle sue tracce, si cercava di mediare tra furori tragici ed effusioni liriche ed angelicate, in un equilibrio spesso fragile: la Gencer entrò da protagonista in questo spazio, come testimoniano le tracce rimaste della sua lettura.

Giovanni Chiodi


Prodotti consigliati
306 Novembre 2024
Classic Voice