Cavalli – Opera Arias

controtenore Philippe Jaroussky
soprano Emöke Baráth 
contralto Marie-Nicole Lemieux
ensemble Artaserse
cd Erato 0190295518196

 

All’ascolto della prima aria si soprassalta sulla sedia. Il testo sembra già noto, ma con altra musica. Ebbene, sì: “Ombra mai fu / di vegetabile / cara ed amabile / soave più” è un’aria dal Serse di Handel. Ma qui la musica è di Francesco Cavalli. Il libretto, scritto da Nicolò Minato per Cavalli a Venezia nel 1654 fu rielaborato da Silvio Stampiglia per Bonocini a Roma nel 1694. È quasi un addio al teatro di Handel: il libretto ebbe una ulteriore elaborazione anonima e l’opera fu rappresentata a Londra nel 1738. L’aria però resta la stessa. Ma da Cavalli a Handel passano 84 anni e ne è passata di acqua sotto i ponti di Venezia di Roma e di Londra. Solo da Bononcini in poi possiamo, infatti, parlare di vera e propria aria, come pezzo chiuso. Il rapporto con il declamato dell’azione è in Cavalli assai più fluido. È il momento lirico del personaggio, il punto in cui medita sui propri “affetti”. Ma il legame con l’azione resta strettissimo. Offrire dunque un’antologia di “arie” del teatro di Cavalli significa spostare in avanti la funzione dell’aria, spostarla ai tempi appunto in cui l’aria si fa oggetto separabile dall’azione. A dire il vero anche un’aria di Handel ha poco senso svincolata dal contesto drammatico in cui è inserita. Ma si faceva. E si può legittimamente fare. La straordinaria vitalità musicale di Cavalli nasce invece da un progetto drammaturgico che non può essere spezzato, senza il rischio di rendere incomprensibile l’aria che si estrae dal percorso drammaturgico. Questo basti, adesso, per la carrellata di arie che qui Jaroussky propone insieme al contralto Marie-Nicole Lemieux e al soprano Emöke Baráth, con gruppo strumentale Artaserse. Più articolato il discorso sul canto. Anche se legato alla scelta antologica di arie, vale a dire privilegiando il godimento edonistico della musica, e infischiandosene del senso delle parole. Ebbene, ciò che si ascolta non è Cavalli. I cantanti non italiani dovranno pure prima o poi ficcarsi in testa che la dizione dei versi, nel teatro musicale del Seicento italiano, è il primo, e indispensabile, gradino, per cantare questa musica. La bellezza della voce, l’eleganza del fraseggio non sono indipendenti dalla comprensione del testo. Altrimenti tutte le musiche finiscono per assomigliarsi. È la specifica intonazione del testo a caratterizzare un’aria rispetto a un’altra. Ripeto: non siamo nell’opera del Settecento o in quella del primo Ottocento, siamo in un teatro nel quale il connubio tra parole e musica è indissolubile. Pertanto ciò che qui si ascolta sono gorgheggi, belle frasi, incomprensibili melopee, ma non è la musica di Cavalli.
Dino Villatico

 

 

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306 Novembre 2024
Classic Voice