editore Archinto pagine 160 euro 25
Questa raccolta di lettere è una scelta. Una scelta che depura i rapporti familiari di Leonard Bernsein, la cui vita visse invece una perpetua divisione tra realtà e apparenza, tra doveri e inclinazioni. A cominciare dalla divaricazione della sua attività di compositore e di direttore. In realtà la pratica della direzione d’orchestra contribuì ad approfondire la sua conoscenza dell’orchestra, così com’è accaduto per altri compositori, Wagner, Mahler, Strauss, Boulez. Il compositore ne trasse una capillare esperienza della materia sonora, del timbro degli strumenti ai quali affidare le proprie idee musicali. Ma la spaccatura fondamentale, quella che probabilmente si ripercuote anche nella sua attività d’interprete e di compositore, sta tra la sua vita ufficiale di marito e padre felice e la sregolatezza mai interrotta dei suoi innamoramenti e delle sue avventure omosessuali. Già a vent’anni, quando ebbe gli incontri decisivi per la sua formazione sia umana sia musicale, con Mitropoulos e con Copland. Amò e rispettò teneramente la moglie cilena Felicia, e i figli avuti da lei. Ma la sua vita sessuale era altrove. I lunghi viaggi, le lunghe assenze, le tournée glielo permettevano. Dopo la morte della moglie, nel 1978, non si nascose più e dichiarò pubblicamente la propria omosessualità. Ma niente di tutto questo traspare dalle lettere qui raccolte. Ne parla, e diffusamente, nell’introduzione, il curatore della raccolta, Nigel Simeone. Vengono fuori, ciononostante, altre situazioni, altre confessioni. Per esempio quanto gli piacquero Roma e Vienna. Vienna la preferiva a Milano, la cui vita musicale gli pareva più ristretta della multiforme vita musicale viennese. E poi ci sono delle confessioni disarmanti: “Se do l’impressione di essere un po’ rintronato è perché lo sono”. Ma colpiscono anche certe riflessioni in cui ritroviamo l’uomo, e l’artista, che riflette sulla storia, sul proprio tempo, che ama la poesia, conosce e ama il latino. “Mi sto trovando benissimo qui a Vienna – almeno per quanto è possibile a un ebreo. Ci sono talmente tanti tristi ricordi qui; e hai a che fare con così tanti ex nazisti (e forse tuttora nazisti), e non potrai mai sapere se in mezzo al pubblico che ti grida bravo (in italiano) non ci sia qualcuno che 25 anni fa ti avrebbe sparato a sangue freddo”. Insomma, un ritratto affascinante, ma dimezzato, che omette i lati inquietanti, oscuri, o solo poco accettati, del personaggio.
Dino Villatico
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