TALLIN
[regia] David Bertman
[direttore] Arvo Volmer
[teatro] dell’Opera
Nel quartiere ebraico di Budapest c’è un Parco commemorativo dedicato a Raoul Wallenberg, diplomatico e filantropo svedese che durante la seconda guerra mondiale riuscì a salvare centomila ebrei dai campi di concentramento, offrendo loro passaporti svedesi, e sventando negli ultimi giorni di guerra il piano nazista di far esplodere il ghetto. Ma dopo la guerra Wallenberg fu arrestato dall’Armata Rossa, imprigionato a Mosca come spia, e di lui non si seppe più nulla. Affascinato da questo personaggio, Erkki-Sven Tüür gli ha dedicato un’opera, composta su libretto di Lutz Hübner, che è stata presentata in un nuovissimo allestimento al Teatro dell’Opera di Tallin. Opera che dimostra uno straordinario talento drammatico, in una partitura ricchissima, eclettica, che fonde insieme materiali eterogenei, dall’avanguardia al pop, da texture minimal a elementi fortemente connotati (come le marcette militaresche dall’effetto grottesco e crudele), e intessuti con un’orchestrazione smagliante, di prim’ordine, messa in risalto dalla direzione meticolosa di Arvo Volmer. La regia era di Dmitri Bertman uno dei più importanti registi teatrali russi, direttore artistico della famosa Helikon Opera, con la preziosa collaborazione di Neeme Kuningas, con le scene e i costumi della geniale Ene-Liis Semper. È anche il primo caso di una regia interamente realizzata via internet, perché le tensioni tra i due paesi hanno impedito al regista di lavorare a Tallin. Bertman ha voluto leggere la vicenda con gli occhi dei posteri, di chi si renderà conto tra qualche secolo di quali vicende assurde ci furono in Europa nella metà del XX secolo. E ha disegnato un allestimento provocatorio e graffiante, ma un grande esempio di teatro, visualmente raffinatissimo, curato in ogni dettaglio, con sottili giochi di luce, movimenti coreografici ritmati, inquietanti gesti en ralenti. Tutto giocato Tutto condotto su forti contrasti: tra le sontuose sedi del potere, con tavoli imbanditi, preziosi lampadari, costumi settecenteschi (la cena nel palazzo delle SS), e le scene delle deportazioni, dominate da claustrofobiche saracinesche, gabbie e prigioni; ma anche tra il circo mediatico, che trasforma nel secondo atto Wallenberg come un eroe, santificato da soldati, generali, astronauti, reporter, gigantesche matrioske, mickey-mouse e babbo natale, ma anche con un Elvis Presley (alter ego “televisivo” di Wallenberg) e con il presidente Ronald Reagan, e la straziante scena finale con un contorsionista, terza incarnazione di Wallenberg e della sua sofferenza, accompagnato dal canto scarno e dolente di una vittima. Ottima la prova del baritono Jesper Taube, nei panni del protagonista, sia per la qualità della voce che per l’intensità della recitazione. Ma spiccavano anche le voci del basso Priit Volmer (Eichmann), del baritono Jassi Zahharov (ufficiale tedesco), dei tenori Urmas Põldma e Vladislav Horuvenko (due ufficiali russi), del soprano Helen Lokuta (un diplomatico).
Gianluigi Mattietti