[teatro] Donizetti
Bergamo jazz, trentesima edizione, una data importante per il festival che si tiene ogni anno al teatro Donizetti, celebrata all’insegna di una sorprendente varietà di ricerca da quella italianissima del trombonista Luca Petrella, dinamica e folgorante, a quella sofisticata, a volte anche un po’ funerea, del trio del trombettista scadinavo Arve Henriksen, a quella quasi improvvisata dalla Nuble orchestra diretta da Lawrence Butch Morris, il musicista che, con un articolato lessico di gesti e di segnali, guida gli strumentisti offrendo loro molte possibilità e, soprattutto, senza mai imporre uno schema scritto. Ed è proprio la sua singolare sperimentazione, ormai ben nota al pubblico del jazz, che ha segnato il festival. Butch parla del suo modo di guidare una orchestra usando il termine conduction: realizzare splendidi affreschi sonori lasciando un buon margine agli esecutori chiamati ad amalgamare fra loro tutti gli elementi della musica, dall’armonia, alla melodia, al ritmo, seguendo la straordinaria gestualità del conduttore. I membri della sua orchestra diventano così esecutori e improvvisatori e la musica assume dimensioni oniriche. Uno splendido episodio di creatività che il pubblico bergamasco non ha compreso nella sua unicità. Musica troppo difficile, forse, ma straordinariamente suggestiva. Ma Uri Caine, il direttore artistico della manifestazione, puntava molto anche su due nuove realtà: il Claudia quintet del batterista americano John Hollenbeck e, come si è detto, suo trio scandinavo. Il Claudia quintet vanta una originale formula strumentale nella quale confluiscono molti e diversi generi, dal minimalismo al folk, dal jazz al rock, il tutto in una atmosfera intimista che è molto piaciuta. In quanto al trio che sperimenta un genere di sonorità molto particolare, valendosi di due sintetizzatori che sostengono e dialogano con la tromba di Arve, la sperimentazione appare insieme sofisticata e ingenua: il trio costruisce progetti armonici e sonorità a volte inattesi, partendo da elementi della cultura popolare del nord Europa, per arrivare all’improvvisazione jazzistica. Ma, almeno per quanto riguarda il concerto al Donizetti, per dovere di cronaca, applauditissimo , non è sembrato rispondere alle stesse esigenze dei tre musicisti: il loro sofisticato modo di porsi è parso a volte fine a se stesso, un progetto incompiuto. Un discorso a parte merita la Cosmic band di Petrella, nata per rendere omaggio a Sun Ra, il bandleader e pianista che ha introdotto nel jazz la musica cosmica, con una sofisticata misticanza di ironia e di colore. Petrella sembra l’uomo adatto, per via delle sue dinamiche prerogative, per dare corpo alla musica del pianista venuto dalle stelle e la Cosmic band, nella quale suona il giovane pianista Giovanni Guidi, recente vincitore di un “ Top jazz”, pur senza eseguire le partiture alla lettera (ma esegue anche musiche di Ornette Coleman, Monk ed altri) riflette la ricerca del jazz di oggi, forse più europea che americana, per una musica che sappia coniugare la poesia con l’arguzia, il dinamismo con il sentimentalismo, usando tutti i mezzi, anche quelli elettronici, a disposizione. Finale, infine all’insegna del jazz classico con il quintetto del trombettista Roy Hargrove: con lui non ci sono sofisticazioni, non progetti ambiziosi, solo il buon vecchio jazz, sia pure articolato attraverso una intelligente modernità, quello capace di far saltare sulle sedie anche chi è meno avvezzo al dinamismo afroamericano.
Vittorio Franchini