Vocazione e formazione
“Se non avessi scoperto la musica mio padre sarebbe sicuramente riuscito a far di me un discreto commerciante o, tutt’al più un rabbino”. Nato nel Massachuttes da una famiglia di ebrei russi, emigrati negli Stati Uniti da Rovno, Louis Bernstein (ma i suoi genitori gli preferirono il più confidenziale Leonard) era in procinto di percorrere le orme del padre Samuel, studioso del Talmud e uomo di affari impegnato nell’industria dei prodotti di bellezza. Ma l’estetica da cui era attratto Lenny aveva poco a che fare con la cosmesi. “Nella soffitta della nostra casa a Boston scoprìi un vecchio pianoforte (…). La tastiera era aperta, la sfiorai e così improvvisamente, restai colpito dal fascino di suonare”. La favola della vocazione improvvisa ostacolata dalla famiglia è efficace mito fondativo di ogni brillante carriera che si rispetti. Figurarsi se la carriera in questione è non solo luminosa, ma addirittura leggendaria. Eppure in quest’epifania musicale spontanea e immediata, nel raptus istantaneo, nel congiungimento fisico e quasi dionisiaco, c’è qualcosa di quintessenzialmente bernsteiniano. “Io cercavo la musica, ne sono sicuro, e quando l’ho incontrata me ne innamorai a prima vista, l’abbracciai, la baciai e le dissi: ‘Tu sarai mia, per sempre!’”. Un trionfo degli istinti subito riequilibrato con la volontà ferrea di seguire una formazione modello: mentre studia pianoforte privatamente (con Helen Coates e Heinrich Gebhard), frequenta prima la Boston Latin School, poi Harvard (letteratura e musica, quest’ultima con il noto compositore, didatta e teorico Walter Piston). Nel 1939 al Curtis Istitute di musica di Filadelfia perfeziona l’abilità alla tastiera con Isabella Vengerova (quella del Bernstein pianista con un vasto repertorio e decine di registrazioni al suo attivo è una storia troppo poco conosciuta), incontra la direzione d’orchestra con Fritz Reiner, entra nei segreti dell’orchestrazione con Randall Thompson. A Tanglewood, nel nuovo istituto estivo della Boston Symphony Orchestra, si specializza nel 1940-41 con Serge Koussevitsky. Il fiume di pura musicalità aveva cercato e trovato solidi argini tecnici e disciplinari. Ora poteva scorrere.
Un esordio “democratico”
Chirurgo della partitura e animale da palcoscenico. Due doti americanissime. In Bernstein complementari. Fin dal tempo in cui, studente e analista modello, seduce i colleghi più importanti eseguendo a memoria la loro musica al loro cospetto: un pezzo uscito dalla penna di Mitropoulos (il direttore greco lo definì “genius boy” e divenne suo mentore), le variazioni per pianoforte di Copland in un party a casa del compositore (ne sortì un rapporto di devota amicizia lungo un’intera vita, con Bernstein che eseguirà e inciderà gran parte delle opere di Copland e quest’ultimo che affiderà al giovane direttore alcuni suoi lavori in prima assoluta). E non importa se nel 1942 diventerà importante, assumendo la carica di assistente di Koussevitsky: dopo le esibizioni giovanili nei locali e teatri off, continuerà a lavorare con un gruppo di cabarettisti (“The Revuers”, dove erano presenti musicisti e attori che diventeranno suoi futuri collaboratori). Alto e basso, pesante e leggero, procedono senza discriminazioni. Negli anni immediatamente successivi al 1943, mentre l’Europa si avvia verso la catastrofe, la stella di Bernstein si accende. Seguendo la sua duplice vocazione: nella direzione e nella composizione, nei sontuosi territori della grande tradizione musicale e in quelli più agili del brillante e dell’effimero. Così nel il 14 novembre 1943, dopo essere stato nominato assistente alla New York Philharmonic Orchestra, coglie un clamoroso successo guidando l’orchestra al posto di un indisposto Bruno Walter (e la diretta radiofonica ne amplifica i clamori); nel gennaio 1944 la sua Sinfonia n. 1 “Jeremiah” ha la sua prima assoluta con la Pittsburg Symphony Orchestra (vince il premio del circolo dei critici musicali newyorchesi); nell’aprile dello stesso anno il suo balletto Fancy Free va in scena al Metropolitan (con coreografia di Jerome Robbins); e ancora a dicembre On the Town fa la sua prima comparsa a Broadway. L’esordio “democratico” di Bernstein può dirsi compiuto.
Dall’incarico stabile alla libera professione
Direttore musicale dal 1945 al ’47 della New York City Symphony Orchestra, a capo dei dipartimenti orchestrali a Tanglewood dopo la morte di Koussevitzky, ospite di riferimento a Tel Aviv sul podio della Israel Philharmonic Orchestra: questi i punti cardinali della prima stagione direttoriale che culmina, dopo il passaggio alla Scala per la Medea con Maria Callas, Bohème e Sonnambula (rispettivamente nel 1953 e 1955, primo americano di nascita sul podio del Piermarini), con la nomina nel 1958 a direttore musicale della New York Philharmonic Orchestra. Bernstein la dirigerà fino al 1969, portandola a livelli di eccellenza mai raggiunti fino ad allora (anche se la sua permanenza a capo di questa istituzione fu inizialmente poco gradita all’intellighenzia musicale della città: il critico del New York Times Harold Schonberg, per esempio, deplorava il suo gesticolare stravagante ed esagerato). Oltre all’estensione al grande repertorio delle avanguardie storiche (solo Schoenberg e gli altri compositori della “Seconda scuola di Vienna” gli erano poco congeniali) e alla singolare rivalutazione del sinfonismo di Mahler, dei suoi dieci anni alla New York Philharmonic si ricordano le energie profuse nella divulgazione del repertorio classico: con l’impaginazione di programmi tematici (a volte brevemente ma efficacemente commentati) e soprattutto con la famosa serie televisiva dei “Young People’s Concerts”, durata quattordici anni. La sua naturale propensione per la comunicazione della cultura si esprimerà anche con l’insegnamento: prima a Tanglewood e alla Brandeis University, poi, nel 1973 all’Università di Harvard (le sue lezioni presso la cattedra di poetica “Charles Eliot Norton” furono registrate per la tv e divennero uno dei tanti volumi di scritti, The Unanswered Question, insieme a The Joy of Music, 1959, Leonard Bernstein’s Young People Concerts, 1961, The Infinite Variety of Music, 1966, Findings, 1982). Dopo il 1969, lasciato l’incarico di direttore stabile e divenuto direttore emerito dell’orchestra newyorchese, il suo impegno direttoriale si riduce (per lasciare spazio alla composizione), e si concentra su poche ma blasonate compagini, fra cui spiccano i Wiener Philharmoniker. La produzione compositiva, all’inizio, si distingue per quantità e curiosità, nonostante il vincolo rappresentato dalla routine direttoriale. Nei diversi generi: il balletto (Facsimile), il musical (Peter Pan, Wonderful Town), l’opera (Trouble in Tahiti), la musica per film (On the waterfront, “Fronte del porto”, con il quale ottenne una nomination all’Oscar come migliore colonna sonora), la musica sinfonica e da concerto (la Sinfonia n. 2 “The age of Anxiety”, Prelude, fugue and Riffs, Serenade, La Sinfonia n. 3 “Kaddish”, dedicata alla memoria del presidente Kennedy), i capolavori (Candide, West Side Story). Poi, nel periodo della “libera professione”, il comporre si fa comnunque più meditato: l’opera “multimediale” Mass, il musical 1600 Pennsylvania Avenue, l’opera A Quiet Place, e ancora Songfest (un ciclo di song per sei voci e orchestra), il Divertimento per orchestra, la Missa Brevis, le Arias and Barcarolles, per citare solo alcuni titoli. Festival dedicati a Bernstein si sono svolti in Israele (1978), a Londra (1986) e Bonn (1989).
Cultura progressista
L’impegno politico a sostegno di battaglie progressiste ha accompagnato la sua carriera di musicista, non senza polemiche e critiche da parte dei detrattori. Dalla lotta contro il maccartismo (la composizione di Candid
e s’inscrive proprio in quel clima), all’opposizione alla guerra in Vietnam e alla proliferazione delle armi nucleari, fino al concerto del 1989 che unì orchestrali dell’Est e dell’Ovest in una Nona di Beethoven suonata ai piedi del Muro di Berlino (per l’occasione il direttore sostituì nel testo di Schiller alla parola “Freude”, cioè gioia, la più consona “Freiheit”, libertà). “Radical chic”: così i suoi nemici definirono il suo impegno civile alla notizia di un party organizzato e sponsorizzato da Bernstein a favore delle Black Panters. Sposato con l’attrice cilena Felicia Montealegre nel 1951, padre di tre figli, si separò verso la metà degli anni Settanta (anche se il rapporto con la moglie rimase intenso, fino alle cure che il direttore le riservò in occasione della malattia di lei), vivendo per un breve periodo con il suo partner, Tom Cothran.
Andrea Estero