La catena spezzata
Autore di una musica “impura”, pronta ad accogliere idee, messaggi, grandi miti e grandi ideali, HansWerner Henze incarna il prototipo del compositore tedesco (o di lingua e cultura tedesca), così come lo conosciamo dai giorni di Beethoven. E di quella genealogia che dall’autore della Nona – viaWagner – giunge a Schönberg potrebbe essere l’ultimo (per ora) discendente. Ma questa appartenenza merita alcune precisazioni. Le vicende del nazismo e della guerra hanno infatti inciso in modo rilevante nella sua formazione. Basta osservarlo negli anni della sue prime esperienze musicali. Dal 1942 lo troviamo a Brunswick dove presso la scuola statale di musica studiava pianoforte, percussioni e teoria musicale, suonando i timpani in orchestra. Qui Henze aveva ascoltato per la prima volta le opere di Mozart, rimanendo folgorato da quei capolavori di bellezza e teatralità; nella cattedrale della città accompagnava cantanti e altri musicisti nel grande repertorio sacro. Bach lo aveva già scoperto negli anni precedenti, a Bielefeld, quando gli regalarono il Quaderno di Anna Magdalena. Ma d’altra parte, proprio in quel periodo cruciale, Hindemith, Schönberg,Webern, Berg – così come Stravinsky e Bartók – rimanevano per lui presenze vaghe e poco familiari, perché assenti dalla programmazione concertistica e radiofonica (l’unica opera contemporanea che in quegli anni ebbe occasione di sentire fu Le vin herbé di Frank Martin). Il nazismo censurava la coscienza artistica moderna, interrompendo l’evoluzione di una cultura, spezzando il filo rosso di una tradizione. E il giovane Henze, suo malgrado, si trovò senza un presente. Era un aspirante compositore tedesco, ma la Germania musicale contemporanea era sparita. Dal pubblico al privato, dal politico al familiare, le difficoltà erano le stesse. Il padre Franz, maestro elementare di buone letture e sani principi, fervente sostenitore delle politiche socialiste del Governo diWeimar (prestava la sua opera anche nelle scuole collettive e – da musicista dilettante – dirigeva un coro di lavoratori), era diventato presto soldatino di ferro del nuovo regime. Nella biblioteca di casa Henze continuavano ad entrare testi antisemiti, antisocialisti e fascisteggianti e ad uscire quelli di autori ebrei e cristiani. Certo il piccolo Hans, soffocato dal fanatismo familiare, aveva trovato riparo nel circolo culturale dove il suo insegnante di pianoforte e teoria musicale organizzava concerti di musica da camera. E in quella nuova casa-famiglia poteva leggere anche i libri proibiti: Trakl,Wedekind,Werfel, Hofmannsthal, Mann, Zweig, Brecht. Con i compagni di classe aveva fondato un ensemble e seguiva gli spettacoli del teatro di Marionette.Ma l’obbligo di vestire l’uniforme marrone della gioventù hitleriana era sempre in agguato. L’esperienza come soldato dellaWehrmacht, dal 1944, dopo quella dei lavori forzati, impresse alla fine un sigillo indelebile al suo odio per il nazismo e la guerra.Anche la sua coscienza di tedesco fu messa duramente alla prova. Prima di stanza a Magdeburg (si occupa di radio trasmissioni e riprese video), poi sbattuto al fronte quando i sovietici lanciarono la loro offensiva, Henze non riuscirà a dimenticare il ricordo di una Berlino devastata e in fiamme, dove anche gli animali dello zoo fuggivano impazziti per tutta la città. Giunto come prigioniero di guerra in Inghilterra, visse quell’esilio come occasione per studiare l’inglese e familiarizzare con una cultura diversa. Scoprì una intera generazione di compositori contemporanei ascoltando i canali della BBC. «Tutto quello che i fascisti perseguitano e odiano è per me bellissimo», scrisse di quella esperienza 40 anni dopo. Il filo spezzato stava per essere ricucito.Ma fuori dalla Germania e con apporti molteplici.
Germania anno zero
Oltre al mondo anglosassone, fecondo di apporti nella sua produzione successiva, la seconda patria di Henze sarà l’Italia, simbolo e metafora della cultura classica incarnata in una speciale mitologia mediterranea. Prima del suo viaggio in Italia, però, Henze visse ancora un intenso periodo di formazione e apprendistato, poi di professionismo, in Germania: di nuovo a Bielefeld (fu anche pianista accompagnatore nel teatro della città) e ad Heidelberg, dove prese lezioni private daWolfgang Fortner e frequentò la Scuola evangelica di musica sacra (contrappunto, lettura della partitura, strumentazione e storia della musica). L’apertura nei confronti della contemporaneità fu frutto non solo delle lezioni di Fortner, ma anche della frequentazione dei famosi corsi estivi di Darmstadt. Agli esordi con un Kammerkonzert (1946) e una Prima Sinfonia (1947) di impronta neoclassica o neobarocca, seguirono presto i primi confronti con la dodecafonia. Il suo interesse per la serie, grazie agli insegnamenti di Rufer e Leibowitz, non fu mai rigido o dogmatico: sia per l’approccio “tonalmente flessibile” alla serialità, intesa – berghianamente – come possibilità espressiva, che per la presenza di inusuali indicazioni programmatiche (un esempio è il concerto per cembalo e otto strumenti Apollo et Hyazinthus, del 1948-1949). Dal 1946 al 1952 la Germania visse anni di grande dinamismo, qualcuno disse di frenetico attivismo, quasi una terapia per dimenticare la catastrofe.Anche Henze trascorse il suo Halbzeit, il suo tempo veloce e provvisorio rispondendo con ritmo serrato alle numerose commissioni che un Paese in pieno boom economico e culturale gli proponeva. È la stagione dedicata esclusivamente ai lavori teatrali, dove sperimenta generi alternativi: quello “immaginario” di DasWundertheater (1948), quello coreografico con BallettVariationen (1949) e di Jack Pudding. L’interesse per la danza si manifesta anche nel successivo Concerto per pianoforte (1950). Assistente musicale al Teatro tedesco di Costanza, nel 1950 divenne responsabile artistico e direttore d’orchestra aWiesbaden: molti dei lavori scritti a getto continuo in questi anni, furono in futuro riscritti o rigettati dallo stesso autore. Con l’eccezione di Boulevard Solitude (1950), rielaborazione in chiave moderna e tedesca di Manon Lescaut e capolavoro del teatro musicale del Novecento (dopo la prima a Hannover, l’opera fece il giro del mondo).
Viaggio (e permanenza) in Italia
Stretto a sinistra dagli oltranzisti postweberniani e a destra da una società reazionaria che non accettava la sua omosessualità (forse anche per dar sfogo al rapporto controverso con la sua cultura di origine), nel 1953 Henze si trasferisce in Italia. A Forio, prima, sull’isola di Ischia, dove comporrà Ode an denWestwind (1953) per violoncello (tra i primi esempi di integrazione tra testo letterario e musica strumentale nei modi di una innovativa “poesia per strumenti”) e König Hirsch, una riscrittura teatrale di una fiaba di Gozzi (che in forma rivista prenderà il nome del Re Cervo). A Ischia incontrerà anche la scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann, con la quale nascerà un intenso rapporto intellettuale e professionale (tra cui il libretto del futuro Der Prinz von Homburg, del 1958, basata sul conflitto “autobiografico” tra romanticismo tedesco e classicità olimpica). A Napoli, suona nuova residenza, ma soprattutto a Roma, poi nella zona dei castelli romani (oggi ha una casa a Marino), Henze intratterrà una fitta rete di amicizie e rapporti con Auden e Walton, Stravinsky e Visconti, cogliendo di nuovo un grande successo con Elegy forYoung Lovers (1959-1961). Dalle memorie mozartiane a quelle beethoveniane, con la prima della sua Quinta Sinfonia (a NewYork, nel 1963, dirige Bernstein) e l’esecuzione di tutte le prime cinque alla Philharmonie di Berlino (1964) sotto gli auspici di Karajan (i Berliner gli commissioneranno più tardi la Settima). NewYork, Berlino e infine Salisburgo, dove Henze presenta l’altro suo lavoro con libretto di Auden e Kallman (come Eleg
y rigorosamente in inglese), The Bassarids (1964-1965), un Euripide interpretato in chiave psicanalitica. Dall’Italia Henze gestisce un consenso ampio e crescente. E, per questo, non esente da attacchi e critiche di stampo “apocalittico”.
Quale impegno?
Il periodo successivo coincide con una sorta di attivismo musicale che, sulla scìa dell’esplosione dei movimenti nati nel ’68, tracima a volte in militanza politica. È la fase più didascalicamente impegnata, già iniziata con l’opera collettiva Jüdische Cronik (scritta insieme a Blacher, Dessau, Hartmann eWagner-Régeny) e con In memoriam: DieWeiße Rose, doppia fuga per 12 strumenti dedicata a due giovani martiri antifascisti. In questi anni troviamo Henze manifestare con i gruppi di studenti di sinistra contro la guerra in Vietnam; ad Amburgo, nel dicembre del 1968, fu costretto a rinunciare all’esecuzione del suo oratorio Das Floss der Medusa, perché la NDR si rifiutava di suonare su un palcoscenico su cui era stata issata una bandiera rossa. In questo clima nascono comunque lavori rimarchevoli: la serie di duetti “di protesta” Voices, del 1973, la Sesta Sinfonia presentata all’Avana nel 1969, fino a quel Cimarron per voce e gruppo strumentale (1969-1970, con testi del poeta socialista Hans Mangnus Enzensberger) che diventerà una delle sue composizioni più eseguite e rappresentate. In occasione della seconda contestazione, Henze riuscirà a vivere in modo diverso il rapporto con l’ideologia, concentrandosi sulla realizzazione di progetti artistici concreti: la fondazione del Cantiere internazionale d’arte di Montepulciano (dal 1976), un’utopia musicale e sociale – la città intesa come laboratorio artistico totale – pienamente realizzata; la creazione del WürztalWorkshop e il festival giovanile del Deutschlandsberg, entrambi nella regione della Stiria (1981); più tardi la direzione della Biennale di Monaco, un festival dedicato al nuovo teatro musicale (1988).A Montepulciano proporrà riscritture di opere di Paisiello, lavori ispirati all’universo shakespeariano e una costellazione di lavori gravitanti intorno all’Orfeo di Monteverdi, senza dimenticare la sua favola Pollicino (1980).
None allo specchio
Negli anni successivi, attenuata la spinta ideologica, è tornato a una visione più meditata dei rapporti con la politica e la storia. All’opera, con tre lavori, rappresentativi di “motivi” tipici della sua produzione: i risvolti tragici delle relazioni amorose in Das Verratene Meer (1986-1989, tratta da Mishima, recentemente riadattata al giapponese con il titolo originale Gogo no Eiko), il mito classico in Venus und Adonis (1993-1995), la favola in Upupa (da una leggenda siriana, 2003). E nel genere sinfonico con le tre ultime Sinfonie: la pensosa Settima (1983-1984), stretta tra un’“allemanda” e un adagio ispirato a Hölderlin; la più leggera Ottava (1992-1993), al contrario “inglese” e “italiana”. Laddove la Nona per coro e orchestra (1997), con la sua denuncia nei confronti dei momenti più oscuri della storia tedesca, guarda e capovolge il modello beethoveniano. In una continua ricerca – e in un altrettanto persistente rifiuto – della propria identità.
Andrea Estero