Nascita e formazione 1813-1832
Chi fu il vero padre di (Wilhelm) Richard Wagner? Non è questione secondaria per un compositore che ha posto i rapporti tra parenti al centro dei suoi più importanti lavori teatrali. I dati anagrafici ci dicono che Richard nasce a Lipsia il 22 maggio 1813 ultimo di nove figli da Carl Friedrich, funzionario di polizia, e Johanna Rosine Pätz. Carl Friedrich morirà però dopo qualche mese, il 23 novembre, nell’epidemia tifoidea seguita alla battaglia di Lipsia. A fargli da padre sarà dunque l’attore, poeta e pittore Ludwig H. Ch. Geyer, che sposerà l’anno successivo Johanna Rosine. C’è chi sostiene, però, che l’attore e poeta potrebbe essere il padre naturale: lo stesso Richard non ne fu mai sicuro, o non volle esserlo, per le supposte origini ebraiche di Geyer.
La famiglia si trasferisce a Dresda nel 1814, dove Geyer ottiene un impiego presso il Teatro di Corte. A Dresda, e poi di ritorno alla città natale, si svolge la formazione culturale e musicale di Richard. All’Università di Lipsia Wagner studia musica, prende lezioni di armonia con un musicista locale, poi con il Kantor della Thomaskirche (l’erede di Bach!). In futuro tenterà di ridimensionare queste esperienze scolastiche, per salvaguardare l’immagine di genio istintivo, tipicamente romantica. È la prima “menzogna” contenuta nella sua autobiografia, che glissa sulle opere per pianoforte e per orchestra scritte nel 1832 (e sulla Sinfonia che seguì, composta in un perfetto, accademico, do maggiore) ed esalta, al contrario, la trascrizione per pianoforte della Nona di Beethoven.
Il fortunoso debutto 1833-1842
Anche Wagner, come Verdi, ebbe i suoi “anni di galera”. Una stagione divisa tra intrepidi ideali e obblighi professionali. La gavetta comincia a Würzburg, dove lo ritroviamo a vent’anni maestro del coro nel teatro della città. Come in ogni apprendistato qui Wagner si fa le ossa, accostandosi alle opere di Marschner, Weber, Paer, Cherubini, Rossini e Auber, di repertorio nel sistema operistico tedesco. Negli anni 1834-1836 è direttore musicale di una compagnia teatrale ambulante, dove però imparerà a dirigere (conoscerà nel corso di questa esperienza la sua futura moglie, l’attrice e cantante Christine Wilhelmine – “Minna” – Planer). Nel 1837 è a capo del Teatro d’opera di Riga, pochi soldi e tanti progetti.
A Lipsia era però entrato a far parte, grazie agli auspici di Heirich Laube, amico di famiglia e carismatico radicale, della Giovane Germania, movimento politico e letterario che predicava ideali socialisteggianti e rigettava il moralismo classico-romantico (Goethe come Hoffmann) in favore di una liberazione condotta sotto il segno di un nuovo edonismo, ispirato al mito mediterraneo. Nell’opera comica Das Liebesverbot, in una Palermo lussureggiante, i siciliani godono e si amano mentre i regnanti di origine nordica ne censurano i costumi. Entrambi cantando in uno stile tra Bellini e Auber. La prima di questo “Divieto d’amare” (il 29 marzo 1836) andrà in scena proprio grazie alla sua compagnia di ambulanti: idealità e prosaicità questa volta si trovano in singolare sinergia.
Gli anni di galera di Wagner trovano una degna conclusione a Parigi. I Wagner raggiungono la capitale francese da Riga nel 1839, in un viaggio avventuroso a bordo della goletta “Teti”, che poi Richard, nella sua autobiografia, romanzerà ad arte (passando per i burrascosi fiordi norvegesi – si legge – ha trovato ispirazione per l’Olandese volante). Il suo rapporto con l’ambiente parigino è disastroso, nonostante l’amicizia e i favori del compositore di successo (e di origine ebraica) Meyerbeer. Sbarca il lunario scrivendo trascrizioni operistiche per vari organici e cronache musicali per la “Gazette musicale”. Forse la sua proverbiale idiosincrasia per la cultura francese ha origine da qualche rifiuto (e qualche debito) di troppo.
Gli anni di Dresda 1843-1849
Grazie al travolgente successo dell’operone Rienzi (il 20 ottobre 1842, al Teatro di Corte di Dresda), e alla tiepida accoglienza riservata a quel capolavoro che è l’Olandese volante (il 2 gennaio 1843), Wagner – tornato in patria – è il candidato naturale al posto di maestro di cappella alla corte del re di Sassonia. Per il compositore sono anni ferventi e decisivi: a Dresda, con uno stipendio sicuro, può finalmente volare alto. Tra il 1843 e il 1845 porta a termine il Tannhäuser (viene rappresentato nel “suo” teatro il 19 ottobre 1845), studia l’epica carolingia e la lirica medievale tedesca, scrive un abbozzo in prosa dei Maestri cantori, organizza l’esecuzione della Nona di Beethoven (una sinfonia all’epoca considerata ineseguibile), fa rappresentare l’Ifigenia in Aulide di Gluck, per la quale redige un nuovo finale, appronta un abbozzo in prosa del Ring, datato 4 ottobre 1848.
Ma a Dresda, proprio nell’anno 1848, spira anche un travolgente vento rivoluzionario, scoppia la rivolta, si ergono le barricate. Wagner aveva manifestato le sue simpatie per i gruppi repubblicani e rivoluzionari, stendendo un progetto di riforma del teatro d’opera “democratico”; era rimasto affascinato dalla figura di Bakunin – oltre che dalle opere di Marx ed Engels – che aveva conosciuto personalmente, trasferendo queste predilezioni in infiammati scritti polemici che comparivano periodicamente sui “Volksblätter”; continuava a progettare epiche teatrali (tra cui un Jesus von Nazareth) ispirate alla supremazia dell’amore sulla legge e la proprietà privata teorizzata da Proudhon e Feuerbach; fino a prendere parte all’insurrezione del maggio 1849.
Presto, quando le truppe prussiane guadagnarono il controllo della città il compositore è costretto a partire perché ricercato. Deve lasciare tutto, ma se l’è voluto: la tranquilla routine del buon Kapellmeister (e il suo stipendio modesto ma sicuro) non era fatta per lui.
Un compositore in esilio 1849-1863
Giunge a Zurigo, dopo essere passato da Chemnitz e da Weimar, ospite di Liszt, che poi lo aiuterà a varcare la frontiera svizzera (la generosa disponibilità, ai limiti del masochismo, che Liszt dimostra nei confronti di Wagner è uno di quei misteri che non possono essere spiegati, solo contemplati). Nella città svizzera vedono la luce suoi scritti capitali. In L’arte e la rivoluzione (1849) sono evidenti i richiami alle teorie “umanistiche” e anticapitaliste di Proudhon e Feuerbach, trasferite ora nel dominio operistico. In L’opera d’arte dell’avvenire (1849) balzano in primo piano le due parole chiave della polemica wagneriana: il “Volk”, il popolo (tedesco), depositario di una creatività non ancora corrotta, e l’“opera d’arte totale”, cioè la riconciliazione delle varie dimensioni della rappresentazione in una nuova unità, specchio di una società rinnovata. Teoria ribadita in Opera e dramma (1850-1851), che si concentra invece sugli strumenti del “mestiere” wagneriano, tra lo “Stabreim” (un verso tipico del tedesco antico basato sull’allitterazione), e i “melodischen Momente” (ovvero i Leitmotive).
Nel frattempo Lohengrin riceve la sua prima rappresentazione a Weimar, grazie agli auspici di san Liszt, mentre Wagner, per forza di cosa assente, viaggia in Italia.
Il 1854 è un anno scarso di eventi, ma decisivo nei fermenti: Richard conosce il pensiero di Arthur Schopenhauer, abbracciando quindi una prospettiva filosofica pessimistica, contrassegnata dal tema della rinuncia, che avrà una grande influenza nelle opere successive (e immediatamente nel soggetto “buddista” Die Sieger, che non verrà completato). Un vero e proprio voltafaccia rispetto all’ottimismo degli scritti politico-musicali zurighesi, subito riscontrabile nella composizione dell’Oro del Reno e della Walkiria. Ma questa è un’altra storia, che si comp
leterà più avanti. Emblema subito compiuto di questo nuovo indirizzo è invece il Tristano e Isotta, la cui composizione (inizia a lavorarvi il 20 agosto 1857) scalza quella del Siegfried, che verrà ripreso solo nel 1869.
L’esilio, come di regola, fortifica il senso di appartenenza nei confronti della patria negata (e il conseguente disagio per le altre culture?): a Londra, in occasione di una serie di concerti (1855), subisce gli strali di una stampa e di un pubblico ostile, che Richard bolla come “filistei”; nel 1861 il suo Tannhäuser viene presentato a Parigi, scatenando tafferugli tra wagneriani e sciovinisti del luogo (la stessa cosa succederà dieci anni dopo in Italia); nel 1862 inizia a comporre I Maestri cantori di Norimberga, vera apoteosi della cultura musicale e poetica tedesca. Calmati i bollenti spiriti giovanili, riscoperte le ragioni della sua propria Kultur, sono maturi i tempi per un rientro in patria.
Monaco e Bayreuth 1864-1877
A Monaco comincia una nuova vita. Dopo Schopenhauer, l’altro uomo della provvidenza si chiama Luigi II, re diciottenne di Baviera. Se Arthur aveva pensato alla salute intellettuale di Richard, re Ludwig pensa a quella materiale (cosa abbastanza impegnativa se il beneficiario è un megalomane scialacquatore): appianando tutti i suoi debiti e ricoprendolo d’oro. È stato calcolato che nei 19 anni di “protezione” il compositore è costato una cifra pari a un settimo di un intero bilancio annuale dello Stato di Baviera (562.914 marchi dell’epoca!).
La donna della provvidenza, grande sacerdotessa e depositaria dell’eredità di Wagner, si chiama invece Cosima, figlia di Liszt, moglie del direttore d’orchestra Hans von Bülow, che rimase un fedelissimo del Maestro anche quando quest’ultimo decise che sarebbe diventata la sua seconda moglie. Isolde, la prima figlia di Richard e Cosima, nasce il 10 aprile 1865, nello stesso anno in cui a Monaco viene rappresentata Tristano e Isotta.
Gli scandali finanziari wagneriani consigliano al re di invitare gli ingombranti ospiti a un soggiorno forzato a Tribschen, sul Lago di Lucerna. Nonostante tutto tra il 1869 e il 1870 Monaco vede le prime rappresentazioni dei Maestri cantori, L’oro del Reno e la Walkiria. Nel 1870, in occasione del centenario della nascita, Wagner celebra Beethoven dedicandogli uno scritto. Alla vigilia dell’unificazione tedesca questa ricorrenza acquista un valore particolare, e Wagner ne cavalca gli umori candidandosi al ruolo di compositore della nuova nazione. A Bayreuth, il 22 maggio 1872, viene posta la prima pietra del Festspielhaus, uno spazio (costosissimo, per il quale si rischia la bancarotta) pensato per la rappresentazione delle sue opere. La “succursale” del nuovo tempio è villa Wahnfried, dove la famiglia Wagner va a vivere dall’aprile 1874. I critici di tutta Europa accorrono nella cittadina della Franconia per assistere, nell’estate del 1876, alla prima rappresentazione completa dell’Anello del Nibelungo.
Gli ultimi anni 1878-1883
Che relazione potrà mai esserci tra Parsifal e i vegetariani? Primo di tutti gli “osservanti” che verranno, Wagner sposa la teoria secondo la quale la specie umana si è resa impura a causa dell’assunzione di sangue animale. La rigenerazione può avvenire solo con il ritorno all’antica dieta vegetale e attraverso il contatto con il sangue purissimo di Cristo (oltre che con la preservazione della razza ariana, l’unica in grado di cibarsene). Questi argomenti, a sfondo antisemita, trovano sviluppo in una serie di scritti pubblicati nei “Bayreuther Blätter” e aprono la strada alla mistica dell’eucarestia che verrà messa in scena con il Parsifal. L’ultima opera di Wagner verrà rappresentata nel 1882, con la direzione dell’ebreo Hermann Levi. Dopo il festival di quell’anno Richard e Cosima si trasferiscono a Venezia, per curare la salute del compositore, colpito da un attacco cardiaco nel marzo del 1882. Il 13 febbraio 1883 è il giorno fatale: mentre sta lavorando al saggio Sul Femminile nel Maschile, Wagner si accascia stroncato da un infarto. Sarebbe stato contento del suo funerale, con la salma trasportata su una gondola tra le nebbie lagunari fino alla stazione, e poi traslata nel giardino di villa Wahnfried, a vegliare sulla nascita di un mito.
Andrea Estero