[interpreti] E. Marton, J. Carreras, K. Ricciarelli, J.-P. Bogart
[direttore] Lorin Maazel
[regia] Harold Prince
[regia video] Rodney Greenberg
[orchestra] Wiener Staatsoper
[formato] 4:3 NTSC
[sottotitoli] Ingl., Ted., Fr., It., Spagn.
[dvd] Tdk DVWW-CLOPTUR
L’uscita in dvd della Turandot di Maazel, ripresa alla Staatsoper di Vienna nel 1983, permette di calare nel suo contesto teatrale un punto di riferimento nell’esecuzione del capolavoro pucciniano. La rivelazione delle radici novecentesche – a parer mio (Classic Voice n. 54, Novembre 2003), la nota più attraente della recente evoluzione interpretativa – trova riscontro in una concertazione distesa su tempi indugianti ma tutta nervi scoperti, dal fraseggio secco e tagliente, con percussioni violente, fiati incombenti e legni in forte evidenza, che emergono guizzanti come lampi nel fluire narrativo, sopra il pulsare ossessivo di archi compatti. Una ricerca timbrica indirizzata a fini espressivi diversi rispetto al passato: laddove Karajan (cd Dg) aveva creato un’atmosfera trasognata e di un languore morboso, adatta ad una protagonista più leggera, affidata alla voce (troppo) delicata e gelida della Ricciarelli, personificazione di una fanciulla perversa, e Mehta (cd Decca), aveva disegnato un affresco grandioso, lucente e colorato, ma meno ruvido e più sinuoso, Maazel schizza invece un paesaggio sinistro e allucinato, fatto di ombre, stridori e repentini contrasti, che apparenta per altri versi Puccini a Strauss, Schönberg, Stravinskij. La Marton non è originale come la Sutherland dell’edizione Decca (astrale, dolce, malinconica e purissima, dagli acuti sfavillanti e dal fraseggio sottilissimo), ma fa parte di quella ridottissima schiera di soprani capaci di tratteggiare una principessa imperiosa e granitica, ma anche “tormentata e divisa”; e i timbri di Carreras e della Ricciarelli sono ideali per Calaf e Liù, anche se le fragilità tecniche sono evidenti. Lo spettacolo di Harold Prince imbocca la strada dell’invenzione fantastica, superando molti vezzi di maniera: costumi variopinti, trapuntati di gemme luccicanti; tante maschere che servono a nascondere viso e anima; scena fissa, occupata da due scale strette incastrate nella parete; popolo trattato come un blocco unitario e impersonale, al pari del mondo fantastico che esso abita e sul quale alla fine spunta un sole gigantesco.
Il primato tra i video spetta comunque alla Turandot di Zhang Yimou, girata a Pechino nella Città Proibita (teatro anche di un successivo bellissimo film del maestro cinese) e a quella di Zeffirelli; molto diseguale invece è la Turandot grondante kitsch del Liceu di Barcellona (dvd Tdk), che Nuria Espert costella di tante idee buone ma anche di pessime; per una vera lettura alternativa è giocoforza rivolgersi quindi a Pountney, mancando dvd di altre Turandot controcorrente: quella disperata e tragica di Serban al Covent Garden, tutta incentrata sulle paure della protagonista e con il popolo che la contempla dall’alto di un recinto tipo Globe Theatre; quella di De Ana a Macerata, con Turandot racchiusa all’interno di una enorme sfera; quella di Krief, ritratto ironico e lucido di una Turandot rimasta bambina, che tratta le persone come pupazzi (Classic Voice, n. 105, Febbraio 2008).
Tutta ritmo e impulso, più che barbarica, la visione di Levine-Zeffirelli (dvd Dg), con al centro Calaf (Domingo) proiettato alla conquista di una Turandot più femminile del solito (Marton), e con il popolo elevato al rango di ulteriore protagonista, con ogni personaggio, fosse pure secondario come il mandarino, dotato di una propria spiccata fisionomia; scena mobilissima, a vari piani e ambienti, con effetti di colori e di luce, diversi per ogni atto.
Zhang Yimou, viceversa (dvd Bmg-Warner), porta Turandot nella Città Proibita (uno dei rari tentativi riusciti di opera nel luogo originario): uno straordinario scenario naturale, animato però da una recitazione verosimile sia dei singoli che delle masse, con un uso sapiente di simboli, costumi mai così belli e coreografie usate per raccontare la vicenda (bellissima l’apparizione di Pu Tin Pao e il principe di Persia), con un cast omogeneo: Casolla bravissima, Frittoli eccellente, Calaf lirico di Larin, ottimo terzetto di maschere, di un gigantismo sapientemente articolato la direzione di Mehta con l’apporto determinante dei complessi del Maggio Musicale Fiorentino.
Ottica diversa, quella di Pountney (dvd Tdk), che immerge Turandot in una buia e violenta città di automi, con tutto il larghissimo palcoscenico della Festspielhaus di Salisburgo occupato da una immensa fabbrica a tre livelli, abitata da esseri meccanici e robotizzati con le mani a forbice, a sega, a tenaglia, tragici ingranaggi di una società disumana e militarizzata, sulla quale incombe una Turandot prigioniera dell’incubo, figlia di Elettra più che creatura di un mondo favoloso, che si mostra all’interno di una gigantesca testa, immobile su una torre altissima e con una tunica d’oro lunghissima. Spettacolare la scena degli enigmi, con quella distesa di sudditi di un rosso accecante, con Turandot che, alla soluzione del terzo quesito, cade letteralmente nel mondo delle persone, acquistando gradualmente sentimenti e umanità, come l’intero suo popolo, per il tramite di Liù e Calaf. Sfarzosa e al vetriolo la direzione di Gergiev (che esegue il finale di Berio), aggressiva, aspra, sarcastica, con ripetute corone ed effetti fonici impressionanti, ma anche ricca di dettagli preziosi: musicalmente, la cosa migliore del dvd.
Giovanni Chiodi