Il punto sul “Caso Pereira”: tu cosa ne pensi?

CasoPereiraPrima di tutto una breve cronistoria, che è anche una riflessione sulle approssimazioni giornalistiche: lo scoop relativo al “caso Pereira” cominciava denunciando “l’apporto di 1,6 milioni di euro” al bilancio del Festival di Salisburgo, con il quale il sovrintendente designato della Scala riusciva a portare un attivo al Festival che lui stesso dirige di circa 400mila euro (“La Repubblica” del 10 aprile, che citava la stampa austriaca e il sito “MusicalAmerica.com”). Ma nello stesso pezzo si faceva riferimento alla smentita di Pereira che “ha fatto sapere che si tratta di 1 milione 280 mila euro”. Non c’era stato evidentemente tempo per verificare la notizia. Giusto tornarci su due giorni dopo, con l’intervista a Pereira di Natalia Aspesi, che parla di “690mila euro a titolo”. Sarebbero 4 milioni e 830mila euro: più di quello pagato da Salisburgo per produrre gli allestimenti! Secondo “Repubblica” Pereria “fa arrivare per la stagione 2014-2015 sette allestimenti prodotti dal Festival di Salisburgo”. Possibile tutti e sette in una sola stagione? No, ma la festa dell’approssimazione continua.
A rimettere le cose a posto ci pensa l’intervista di Alberto Mattioli sulla “Stampa” del 16 aprile: il costo ammonta a 660mila euro per quattro titoli (gli altri tre erano ancora un pour parler), che a Salisburgo sono costati 4milioni e 100 mila euro (“lo so perché li ho pagati io”): non è vero dunque che “coprodurre con Salisburgo sarebbe costato meno” come ipotizzava sempre “la Repubblica”. E i titoli sono “spalmati” su più stagioni, fino al 2018, non in un unico cartellone. Intanto però la macchina dello scandalo ha già fatto molti chilometri.
Altra cosa sorprendente per un giornalismo che sa o dovrebbe sapere di spettacolo: nessuno mostrava di conoscere il “peso” dell’opera Finale di Partita: non un semplice “allestimento”, ma una nuova creazione del grandissimo compositore György Kurtág, che non ha mai voluto scrivere un’opera e ora, a 88 anni, si è convinto a farlo per Salisburgo e forse – pazienza se in “seconda assoluta” – per la Scala.
Per il resto, ci sarebbero molte cose da dire: che il sovrintendente designato è stato superficiale (il sindaco di Milano ha detto “pasticcione”) nel non mettere al corrente il cda del teatro prima di prendere questi impegni, anche per tutelare la sua delicata posizione di venditore e compratore. Che avrebbe potuto motivare meglio le scelte artistiche, invece di lodare la sua capacità di portare soldi: alla Scala serve ma non basta. Ma a chi si scandalizza, bisognerebbe far notare che con la gestione precedente la partnership tra Scala e Staatsoper di Berlino, cioè i due teatri diretti da Barenboim, ha prodotto le stesse quantità e complicità. Che un sovrintendente designato e incaricato di presentare la stagione dell’Expo (che inizia tra qualche mese) deve essere messo nelle condizioni di firmare impegni e contratti, anzi doveva poterlo fare già molti mesi fa. Che non si capisce perché il sindaco e il cda, dopo aver individuato in Pereira e averlo nominato – proprio loro, eh – successore di Lissner, invece di difenderlo lo attacchino, ipotizzando defenestrazioni che non solo farebbero ridere il mondo, ma prestano il fianco a chi, non a torto, denuncia ambigue macchinazioni ministeriali volte a mettere le mani sulla Scala nello strategico periodo dell’Expo. Bisognerebbe infine ricordare che un’amministrazione con la testa sulle spalle rimanderebbe il processo inquisitorio per finalizzare l’imminente programmazione, affrettandosi a presentarla – è il caso di dire, questa volta – all’umanità che progetta di venire a Milano per l’Expo. Invece, mentre tutti i più importanti teatri del mondo hanno già presentato le loro prossime stagioni (anche ai tour operator mondiali…), la Scala rimanda l’annuncio del cartellone sine die, per continuare a gingillarsi coi suoi teoremi. Auguri!


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