Le fake news? Modestamente, le abbiamo inventate noi, intendo noi dell’opera. E ben prima di Internet, di Facebook e di Twitter. Nel nostro piccolo mondo antico, le notizie hanno sempre corso alla velocità della luce: quelle false, di più. Perché, diciamolo, l’ambiente è forse il più pettegolo che esista. Farsi i fatti altrui è una caratteristica primordiale dell’essere umano, ma diventa una pulsione irresistibile per l’essere umano che va all’opera. E, in mancanza di notizie certe e verificate, quelle inventate funzionano benissimo: diciamo che sono gli asini che trottano quando i cavalli scarseggiano.
Peggio. Rossini non ha inventato nulla. Però la calunnia è un venticello fuori dai teatri; dentro, diventa subito bora. Camerini, palchi, retropalchi, sale prova, uffici amministrativi, sedi di agenzie, redazioni di giornali specializzati e non, tinelli di cantanti in pensione o in attività e ovviamente la rete moltiplicano e raddoppiano ogni voce e ogni gossip, specie quelli più inverosimili. La verifica è un’utopia, la verità un optional: l’importante è (s)parlare. E allora il soprano X avrà avuto la parte perché, si sa, la bocca non le serve solo per cantare. Il mezzosoprano Y, dell’Est, si è ripassata mezza Fials, senza fare distinzioni fra sovrintendenti e direttori artistici (la donna russa è femmina due volte). Per il tenore Tizio opera attivamente la lobby gay, potentissima dappertutto ma qui in particolare, come ognun sa. Il baritono Caio è protetto da un importante politico, ah, no, non farmi parlare, non faccio nomi, bocca mia taci, vabbé te lo dico ma non dirlo, no! Davvero! Impossibile! Ma sì, ti dico, l’ho saputo dal suo autista (del politico, non del baritono) che l’ha detto al cameriere della trattoria accanto al teatro che l’ha spifferato per vendicarsi di una mancia misera. Quanto al basso Sempronio, lo sanno tutti: dietro c’è la massoneria, no, la Cia, macché, il Mossad, meglio: la mafia, anzi adesso che Totò Riina è morto vedrai che non canta più (e dire che quello non ha mai cantato).
L’idea che qualcuno faccia carriera semplicemente perché se lo merita è inaccettabile. Ci sono dietro le agenzie!, strillano, come se poi fosse una novità, è appena dal Settecento che gestiscono viaggi e carriere degli artisti. Oppure le mitiche “multinazionali del disco”, la Spectre dell’opera, formula inventata dal grande Rodolfo Celletti e poi ripresa dai replicanti che di lui hanno tutti i difetti senza avere nemmeno una delle sue qualità (e nemmeno la stessa padronanza dei congiuntivi). E chiaramente il soprano Pinca e il tenore Pallino fanno carriera solo a) perché sono belli e b) perché la/o danno come se non ci fosse un domani, con il risultato che, oggi, sono coperti di scritture e di soldi. Quanto ai direttori, non ne parliamo. Il vero genio della bacchetta è il maestro Piripicchio che dirige a Roccacannuccia la locale banda invece di stare alla Scala come meriterebbe, tutto per colpa delle cabale di malvagi il cui scopo nella vita è appunto rovinarla a Piripicchio. I registi? Figuriamoci. Tutti cialtroni, raccomandati, intriganti, e poi si sa che il regista all’opera è inutile, con tutti quei begli allestimenti della Wallman che aspettano solo di essere tirati fuori dai magazzini (questa giuro che è vera: l’ho letta in rete, e non era un fake).
La realtà, tristissima, è che nessun fallito ammetterà mai di esserlo perché non è bravo e magari è pure stronzo. E ci sta. Ma perché per consolarsi della propria mancanza di talento si deve negare quello altrui? A Facebook l’ardua sentenza.
Alberto Mattioli
Scopri tutti i mesi di cosa si chiacchiera nel “Foyer”, la rubrica che Alberto Mattioli tiene su “Classic Voice”