Figlio di musicisti, aveva iniziato a studiare violoncello, con risultati così egregi che già a 23 anni, nel 1952, viene ingaggiato dai Wiener Symphoniker. Ma passa appena una stagione e, dall’interno di quell’orchestra, fertilizzato da lui, nasce un corpo nuovo, il Concentus Musicus. “Assieme a qualche collega ritrovare un contatto più vivo, più diretto con una musica che conoscevamo poco, ma amavamo molto, con i capolavori che avevano preceduto l’età classica”, è la semplice spiegazione di Nikolaus Harnoncourt, ottant’anni compiuti lo scorso dicembre a Vienna.
Vienna è la città dove da tempo risiede e che ormai lascia raramente: “Il corpo comincia a essere un po’ stanco, e bisogna rispettarlo”, dice con qualche tristezza.
La parola, la mente, la passione per la musica, invece, stanchi proprio non sono. E la conversazione con il maestro non è soltanto un omaggio al suo grande passato.
Perdoni la banalità, ma non possiamo che partire da Bach, da come è cambiato, nell’ultimo mezzo secolo, il modo di interpretare la sua musica.
“Cinquantacinque anni fa, ascoltavo suonare Bach nelle Accademie musicali di Vienna e lo trovavo così noioso, senza passione! Allora, ho iniziato a leggere molti documenti, molti saggi sulla reazione del pubblico del tempo di Bach alla sua musica. Mi è venuto naturale fare un paragone col nostro tempo, e ho iniziato anche a pensare alle altre arti, ad esempio a Gian Lorenzo Bernini, alla passione che emerge dalle sua sculture. Solo la musica era così noiosa! Era davvero indispensabile cambiare il modo in cui si suonava Bach e riscoprire come si suonava al suo tempo. Abbiamo recuperato molte informazioni, e abbiamo tentato di farlo nei nostri concerti, che sono iniziati nel 1957: il pubblico rimase subito stupefatto, perché non aveva mai ascoltato quel repertorio suonato così”.
È molto cambiato anche il modo di considerare gli strumenti barocchi: non li si è più giudicati precursori imperfetti di quelli moderni, ma strumenti del tutto adatti all’esigenze di quella musica. Quale la sua opinione oggi?
“L’articolazione, le sonorità, le tecniche strumentali barocche pongono delle esigenze che sono più naturalmente realizzabili suonando strumenti originali piuttosto che strumenti costruiti in epoche successive e avendo presenti altri fini: altre sale, altre orchestre, un diverso pubblico. Non si tratta di fedeltà, ma di qualità dell’interpretazione”.
La musica del tempo di Bach è stata tutta esplorata o ci sono ancora dei capolavori da riscoprire?
“Dobbiamo stabilire una differenza tra i capolavori e la grande massa della musica. Naturalmente si ascoltava molta musica, ma non tutta era un capolavoro. Centinaia di compositori hanno scritto musica nei secoli barocchi, ma credo che ai nostri giorni i veri maestri siano stati riscoperti. Non mi aspetto altre grandi sorprese. Per quanto riguarda la musica precedente, penso in particolare alla musica medievale, a quella che si faceva alla corte dei Papi ad Avignone, o a Roma, non ci sono compositori altrettanto significativi dei pittori e degli scultori del tempo”.
Dal 1952 al 1969 lei ha suonato a Vienna, in orchestra. Un’esperienza lunga, con tanti direttori diversi, con un reper-torio molto ampio. Poi ha lasciato, convinto che non esista un’orchestra adatta per suonare in modo appropriato le musiche di tutte le epoche. L’orchestra ideale non esiste?
“Non ci può essere. La maggior parte dei musicisti ormai sa che musiche diverse vanno suonate in modo diverso. Tutte le grandi orchestre internazionali possono formare dei gruppi all’interno dell’orchestra capaci di suonare la musica del Cinquecento, o dell’epoca barocca, e alcune lo stanno già facendo. Inoltre, da qualche anno abbiamo molti gruppi specialisti nel barocco, ma forse non è una buona cosa specializzarsi troppo in un solo periodo perché se un musicista suona soltanto musica barocca, perde il contatto con la musica più antica e con quella moderna e contemporanea. Invece, i veri musicisti dovrebbero mantenere un rapporto di conoscenza con diverse epoche musicali”.
Nel 1981 lei ha registrato le Sinfonie di Mozart. Come è arrivato a Mozart partendo da Bach?
“Non credo che si possa arrivare passo dopo passo da una musica precedente a quella successiva. I grandi compositori come Bach,Mozart, Schubert, sono sempre davanti a noi. Serve a poco lavorare qualche mese su Bach, pensando poi di arrivare a Haydn, poi ancora a Mozart: non si può applicare un punto di vista storicistico. È utile invece un transito da uno all’altro cercando di conoscere uno per uno, nella loro singolarità, i maestri che amiamo”.
Harnoncourt ha festeggiato l’ingresso nella quarta giovinezza dirigendo a Vienna Il mondo della luna, l’opera di Haydn ispirata a un libretto di Carlo Goldoni. Haydn operista – è opinione comune – non eguaglia Haydn sinfonista, camerista, tastierista. Lei concorda?
“Assolutamente no. Questa è l’opinione di Giuseppe Carpani, amico di Haydn e tra i suoi primi biografi. Era italiano e pensava che se Haydn fosse venuto in Italia, allora sarebbe stato capace di scrivere opere, ma siccome è vissuto sempre tra Austria e Ungheria, questo traguardo non lo ha raggiunto. Che sciocchezza: Haydn aveva a disposizione l’orchestra migliore del mondo, poteva scegliere i musicisti che preferiva perché il suo principe protettore aveva denaro a sufficienza anche per pagare i migliori cantanti del tempo. Ad Estheráza si sono suonate tantissime opere, Haydn stesso è stato un operista di primo livello: anche in questo campo le sue idee sono particolari, geniali, moderne. Se confronti gli stessi libretti musicati da Haydn e da altri compositori, ad esempio da Baldassarre Galuppi, scopri che le partiture di Haydn sono fantastiche, ma molto difficili da suonare e ancora più difficili da cantare. La tessitura spesso è estrema, il tenore scende fino al si basso, poi sale al do acuto, e i tenori del tempo potevano arrivare a questa altezza solo in falsetto. Il basso scende al fa grave come Sarastro e poi vola fino al sol. Evidentemente sapeva di poter disporre dei migliori interpreti! L’imperatrice Maria Teresa andò a Esterháza per ascoltare le sue opere e disse: se vuoi ascoltare una grande opera, ascolta i lavori di Haydn. Questa è anche la mia opinione”.
I suoi interessi sembrano non avere più limiti. Ora è il tempo di Schumann…
“Sono interessato a tutta la musica, dall’inizio della polifonia fino ai nostri tempi. La musica di Schumann, però, è speciale: lui è della stessa generazione di Mendelssohn e di Wagner, allo stesso tempo erano amici e in un certo senso nemici. Il vero genio dei tre era Schumann: come compositore era sempre il più avanzato, nessuno ha avuto le sue idee prima di lui. Lui voleva assolutamente scrivere una grande opera, Genoveva. Wagner gli disse che non era capace, che non doveva farlo, ma lui la scrisse e io, che sono un grande amante di Schumann, l’ho studiata e l’ho eseguita in forma di concerto a Graz (ma anche all’Opera di Zurigo e in dvd in forma scenica, ndr). Penso che sia una delle più grandi opere scritte a metà Ottocento, all’altezza delle grandi opere italiane”.
E con Porgy and Bess come la mettiamo? Perché il Novecento e perché Gershwin?
“Quando era bambino, nel 1935, mio zio, che viveva New York ed era amico di Gershwin, spedì a mio padre, che suonava il pianoforte, alcuni suoi spartiti. Questa musica è sempre stata nelle mie orecchie, per tutta la vita. E venti anni fa decisi che dovevo farla, dovevo realizzare qualche recita di Porgy and Bess. Studiandola feci la scoperta che gli interpreti avevano cambiato molte cose: la strumentazione, i tempi, i recitativi accompagnati, i dialoghi. Fu davvero un grande lavoro, che durò tre anni, il tempo necessario a restituire l’opera alle vere intenzioni di Gershwin. Dopo le recite a Graz fui felice di scoprire che anche questa era diventata la mia musica”.
Qual è stato il più importante contribuito dato dagli italiani alla musica?
“Il dono fatto alla musica dagli italiani è l’opera. Claudio Monteverdi, l’inventore dell’opera, è uno dei più grandi compositori mai esistiti. Quando ascolto la sua musica, mi rendo conto che l’opera è assolutamente necessaria. Venendo ai musicisti italiani, trovo che abbiano sempre quello speciale approccio emotivo che non puoi trovare con la stessa forza nel Nord Europa. Quando ascolti dei musicisti, delle orchestre o dei solisti italiani, è sempre la passione a prevalere, una passione del Sud. Questo contributo lo senti nella composizione e nell’interpretazione”.
Sandro Cappelletto
(da “Classic Voice” n. 129)