Che parte ha la regia nell’Opera
“La natura dell’opera, la sua straordinaria fortuna come genere, è nell’essere musica e teatro allo stesso tempo. Il teatro ha quindi la stessa dignità e importanza della musica, non deve finire in seconda classe. Né diventare maniera o routine. Come un direttore cerca la sua lettura musicale, si addentra nella partitura per far scoprire un ascolto ‘nuovo’, così il regista ha il diritto-dovere di trovare chiavi interpretative che rendano una storia spesso assurda e ambientata in tempi remoti, vicina alla sensibilità di oggi. Questo non vuol dire provocare ma innovare. Mai attualizzare per forza, ma se il discorso si presta perché no? Uno spettacolo come il Moise et Pharaon che ho allestito per il Festival rossiniano, vincitore del premio Abbiati della critica, è stato diretto con grande partecipazione anche drammaturgica da Roberto Abbado e poi da Wladimir Jurowski, direttori aperti a altri modi di pensare”.
Direttori Obama e direttori Trump
“Io credo che per cercare la famosa e quanto mai necessaria terza via è necessario instaurare a ogni incontro un dialogo stretto tra il maestro e il regista. Che invece quasi sempre, causa rispettivi impegni, prove troppo scarse, disattenzione e o insofferenza reciproche, si incontrano di sguincio, o addirittura proprio per niente. Con il risultato schizofrenico che la musica va in una direzione e la regia in un’altra. Per fortuna non sempre è così. Alla fine ci sono due tipi di direttori: quelli che amano collaborare con il regista, che sono curiosi di confrontarsi con il suo sguardo, e quelli tiranni che vogliono fare tutto da soli. Per dirla con la cronaca, i direttori Obama e i direttori Trump”.
Verdi e i loggionisti
“Si dice che sono i cultori della lirica ma per me sono solo la frangia più conservatrice e settaria. Pensano di possedere l’arte e la verità, ma l’arte ha bisogno di essere lasciata libera di volare. Condannare un’idea prima ancora che venga realizzata mi sembra poco perspicace e poco generoso. Niente a che fare con lo spirito del tanto venerato Verdi. Che invece era un uomo di grande coraggio, sempre pronto alla sfida”.
Il caso “Stiffelio”(che Vick allestì col pubblico in piedi al Farnese di Parma e vinse il Premio Abbiati come progetto speciale)
“Forse l’opera più moderna e scandalosa di Verdi. Ci voleva un bell’ardire presentare al pubblico di metà Ottocento una storia simile! Contro l’ipocrisia, la borghesia, la chiesa. Che non solo parla di adulterio, ma l’adultera è la moglie di un prete, un pastore protestante. Che non solo parla di sesso ma di desiderio femminile. Una donna trascurata dal marito, tutto preso dalla sua carriera ecclesiale, cerca altrove quell’attenzione anche erotica che lui non le dà più. Un tema molto avanti nei tempi, non a caso subito bersaglio della censura, che costrinse Verdi a modificare il libretto e retrodatare l’azione nel medioevo profondo”.