Vedi un po’ gli scherzi della Storia. A un secolo dalla Marcia su Roma e dalla presa del potere del fascismo, il partito che ha le sue radici in quel lontano regime, pur senza richiamarvisi esplicitamente, ma anche senza averne mai preso le distanze, ha trionfato nelle elezioni politiche e la sua segretaria, Giorgia Meloni, sta per diventare la prima donna presidente del consiglio del Paese. Il successo della coalizione di destra non è una novità, visto che già aveva governato l’Italia con Silvio Berlusconi dal 1994, ma lo sono le proporzioni all’interno dell’alleanza, dove i post-fascisti di Fratelli d’Italia hanno raccolto la maggioranza assoluta: qualcosa che non si era mai più visto “dai tempi di Mussolini”, come hanno sottolineato all’estero. Che cosa cambierà, con questo nuovo governo, per il mondo della cultura e in particolare per quello della musica? Ricordato che il ministero dei beni culturali da undici anni ha visto alternarsi alla sua guida uomini dell’area di sinistra o comunque progressista e che il partito di estrema destra ha retto per una sola volta quel ministero nel 1994, primo governo Berlusconi, ma con un moderato come Domenico Fisichella, proviamo a cercare la risposta nei programmi elettorali dei partiti della coalizione vincente, cominciando proprio da quello di Fratelli d’Italia.
NUOVO RINASCIMENTO?
Al tema che c’interessa è dedicato un capitolo intitolato “Cultura e bellezza, il nostro Rinascimento”. Qui si legge che “L’Italia è conosciuta nel mondo come la Nazione dell’arte e della cultura, come Patria del bello”. Considerazioni abbastanza ovvie e banali cui consegue la dichiarata volontà di “proteggere e valorizzare l’immenso patrimonio di cui siamo eredi” e di “proiettare nel futuro il nuovo Rinascimento italiano”: espressioni che al lettore maligno potrebbero suggerire una curiosa analogia con la retorica del ventennio. Più avanti si entra nel dettaglio parlando di “riforma del fondo unico dello spettacolo (Fus) e semplificazione della burocrazia relativa ai finanziamenti pubblici” e di una “nuova centralità per l’industria della musica e il mondo dello spettacolo, del teatro e della danza”. Questa nuova centralità dovrebbe nascere dalla “istituzione di una Direzione Generale dedicata a tutti i comparti e le maestranze del settore musicale e dell’intrattenimento, vera e propria dorsale economica del settore. Dovrà essere composta e guidata anche da tecnici del settore, che si muovono tra le complesse dinamiche del mercato e la stratificazione degli interessi in gioco, per offrire una guida con cui dialogare e realizzare progettualità di lungo periodo”. Tutto un po’ generico, ma l’apertura “anche” a tecnici del settore sembra incoraggiante.
ARTI “NAZIONALI”
Quanto al Fus, “il problema non riguarda solo la carenza di risorse, ma l’efficacia stessa di questo strumento: a essere premiati con contributi stabili e costanti sono sempre gli stessi soggetti a scapito della concorrenza e con rischi di stratificazione”. Da qui la proposta di “riformare i criteri quantitativi e qualitativi dell’erogazione dei fondi, garantendo l’accesso anche ai nuovi operatori del settore”. Riformarli in che modo? Assegnare i fondi secondo quali modalità? Chi sarebbero i nuovi operatori del settore? Non si sa. In attesa di capirne di più, ecco la prima solenne decisione: “al fine di evidenziare il carattere radicale della riforma, il Fus verrà rinominato Fondo per le Arti Nazionali”. Manca il richiamo a Roma imperiale, ma in compenso abbondano le maiuscole.
IL RUOLO DEI PRIVATI
Un altro obiettivo dichiarato è “l’estensione dell’Art Bonus al settore privato (istituti culturali, fondazioni, imprese), ampliando lo spazio del credito fiscale oltre l’attuale 65%”. L’idea è quella di intensificare la sinergia fra pubblico e privato, coinvolgendo il privato anche nella gestione di beni pubblici. Tutte cose che andranno comunque vagliate nei dettagli, sempre che dall’abbozzo programmatico si arrivi a un disegno di legge. Va detto che Fratelli d’Italia è stato l’unico partito della coalizione vincente a occuparsi di Fus e di Art Bonus nel programma, a differenza degli altri che hanno preferito limitarsi a un astratto impegno alla “difesa delle tradizioni, della storia, della cultura e del patrimonio artistico del nostro paese” (Lega) o alla “tutela del patrimonio artistico-culturale storico-paesaggistico” e alla “valorizzazione degli eventi culturali e teatrali” (Forza Italia). Il partito di Berlusconi però ha suggerito anche una “detrazione fiscale dell’Iva per l’acquisto di strumentazione professionale” e lanciato l’idea di una “posizione previdenziale unica per artisti e professionisti dello spettacolo”.
E IL PD PENSA ALLA MUSICA LIVE…
Quanto ai programmi dei partiti usciti sconfitti dall’urna, in quello del Pd la parola musica compariva solo laddove si chiedeva il “il riconoscimento della funzione culturale dei locali di musica live”. Su Fus, fondazioni, teatri neanche un cenno, ma la solita immancabile promessa a investire nella cultura, potenziando l’offerta nelle periferie delle città metropolitane. Meglio il Movimento 5 stelle che avrebbe voluto “l’inserimento della storia dell’arte e della storia della musica in tutti i programmi delle scuole medie e superiori e garantire una sezione musicale e artistica per ogni scuola del primo ciclo, contribuendo così a rafforzare l’intero sistema dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica” (altra abbondanza di maiuscole, impressionano e costano poco…). Sempre i grillini annunciavano “misure importanti per garantire trasparenza e merito nella selezione degli organi di gestione delle Fondazioni Lirico Sinfoniche e per garantire che i finanziamenti pubblici siano utilizzati nel modo più giusto possibile: la prima prevede che questi organi siano selezionati e reclutati tramite bandi di concorso pubblici, trasparenti e internazionali; la seconda che sia vietato di ricoprire un ruolo gestionale all’interno di una fondazione lirico sinfonica a chi si è già reso responsabile di gestioni economiche e finanziarie inadeguate”. Visti i risultati delle elezioni, si può scommettere che questo divieto non entrerà mai in vigore.
Mauro Balestrazzi
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