(…) “Narrare è fondamentale per un direttore. Anche in una Sinfonia che non ha testo, e non è ‘pittorica’, devi cercare di umanizzare, raccontare, la sua struttura come un romanzo”.
Berlioz, che lei, maestro Pappano, ha scelto per inaugurare la stagione di Santa Cecilia a 150 anni dalla morte avvenuta nel 1869, è un autore che narra. Ma ha un’identità sfuggente. È romantico, ma pure classico, legato alla mitologia dell’antichità.
“Con Berlioz ho un rapporto a lungo termine. Ho diretto les Troyens, la Damnation de Faust, la Symphonie fantastique ecc… Sono affascinato dal modo in cui il compositore crea il suo mondo. Dietro di lui c’è l’ombra di Beethoven, che ammirava. Ma Berlioz era francese. In lui pesava anche l’eredità di Gluck. Berlioz ha trovato un modo tutto francese di rendere ‘elettriche’ queste influenze, scegliendo grandissimi soggetti, Troyens, Benvenuto Cellini, Aroldo in Italia, la stessa Fantastique. Grazie alla grande letteratura, diventa un poeta visionario. Sulla carta ha un linguaggio classico; ma poi, grazie all’ispirazione letteraria, apre un’altra porta, di segno completamente opposto”.
Nei primi tre concerti, dal 10 al 12 ottobre, del “Festival Berlioz” ci sarà il suo mastodontico Requiem…
“L’ho già fatto con il Concertgebouw di Amsterdam. Eseguirlo è qualcosa di eccezionale, adatto alle inaugurazioni romane, dove cerchiamo sempre un grande evento che possa coinvolgere orchestra e coro. La parte corale è una sfida immensa. Ci sono due cori: nel nostro caso a quello di Santa Cecilia si aggiungerà il coro del San Carlo di Napoli. E poi sedici timpani, quattro bande intorno all’orchestra (tra cui la Banda musicale della Polizia di stato, ndr). E con i fiati a ranghi raddoppiati gli orchestrali saranno in tutto circa 150. La sfida di far suonare qualcosa dalla grandezza smisurata la trovo affascinante”.
Qualche suggerimento d’ascolto?
“Se la parte orchestrale è spettacolare, quella corale è davvero difficile da eseguire. Al coro il compositore chiede il contrario di quello che ci si aspetta. Per esempio il Dies irae inizia piano, senza concessioni alla consueta retorica apocalittica. Il Lacrimosa, di solito d’intonazione patetica, è invece perentorio”.
Un pezzo impegnativo anche dal punto di vista “fisico”, si direbbe…
“Ci sono dei fortissimi da ‘spaccare’ la sala, ma anche dei pianissimi mozzafiato. Questa elasticità nella dinamica, nella musica francese è molto importante. Forse per questo è stato diretto da tutti i grandi maestri”.
Quale lettura storica preferisce?
“Di recente ne ho ascoltate poche. Comunque mi piace ricordare Mitropoulos, Munch e Bernstein”.
(…) Alla Scala, quando si presenta il programma della stagione, si annuncia l’inaugurazione della successiva. Anche Santa Cecilia merita la stessa “attesa”…
“La prossima inaugurazione, nell’ottobre 2020, sarà i Maestri cantori. Qualcosa di più grande, di più immenso di così non esiste. L’esecuzione di opere in forma di concerto a Santa Cecilia è ormai una tradizione. Dopo aver diretto, Aida, Otello, Ballo in Maschera, Guillaume Tell, Il Prigioniero, è il momento di arrivare a Wagner, con un titolo che non è mai stato fatto in Accademia, che ho già diretto due volte a Londra, e che nel 21 dirigerò al Met di New York”.
Perché è importante che venga proposto da un’istituzione sinfonica?
“Perché Wagner vi celebra la musica, l’opera è scritta per insegnare alla gente come è costruita e concepita, nel suo continuo dividersi tra tradizione e spinte innovative”.
L’intervista completa di Andrea Estero ad Antonio Pappano è pubblicata nel numero 245 di Classic Voice, di carta o in digitale
versione di carta: www.classicvoice.com/riviste/classic-voice.html
versione digitale: www.classicvoice.com/riviste/classic-voice-digital.html