Ennio Morricone: ecco come compongo

Due anni fa il Maestro appena scomparso svelava i segreti del suo processo di scrittura

 

Ennio Morricone ha cambiato i ritmi della sua giornata. Se prima le ore più sfavillanti per la conversazione, la creazione e le confidenze cadevano inevitabilmente tra l’alba, l’aurora e l’inizio del giorno, ora il compositore – che sta superando con energica volontà i postumi di una fastidiosa caduta – dà appuntamento a metà mattinata. Lo sguardo insieme sornione e indagatore di sempre, la voce chiara e robusta, mi riceve nel suo nuovo, luminoso appartamento al quartiere Eur.
La Biennale Musica 2017 ha premiato Tan Dun, che forse non ha molto da dire di nuovo, ma lo dice benissimo, con carezzevole eleganza. Milano Musica dedica un monumento di concerti ai 70 anni di Salvatore Sciarrino che nella sua “incessante fosforescenza sonora” (Massimo Mila, 1973) tante cose originali le ha dette, e continua a ripeterle.
Maestro, sono molto confuso. Tan Dun, Sciarrino, quali strade sta percorrendo la musica d’arte del nostro tempo?
“Molte strade. È un periodo in cui i compositori sono più liberi di inventare. Non c’è alcuna struttura che ti obblighi a scrivere in una determinata maniera come è accaduto per alcuni decenni. Anch’io mi sento più libero”.
Quando non lo è stato?
“Quando scrivi musica per il cinema non sei libero. Devi rendere conto al regista, al film, al pubblico, e anche a te stesso. Molto diverso è quando scrivi musica assoluta. Io continuo a chiamarla così. Intendo una musica non funzionale a un’immagine, a un testo già definiti”.
Sino a qualche anno fa, lei sembrava vivere, e soffrire, una scissione: da un lato, il musicista per il cinema di grande fama, dall’altro il compositore “colto”, l’allievo di Goffredo Petrassi, uno tra i fondatori di uno storico gruppo dell’avanguardia romana, “Nuova Consonanza”. Quale, quali la sua identità?
“Sono più conciliato con me stesso. Ho avuto due facce, ma oggi queste due facce sono più vicine. Certe sottigliezze di scrittura che uso per le colonne sonore, e di cui il pubblico non si accorge, appaiono anche nell’altro repertorio. In definitiva, credo ci sia una certa riconoscibilità nella mia musica. Credo abbia una sua identità”.
Può essere più esplicito, possiamo entrare nel cuore del suo processo di scrittura?
“I cambi di armonia non cadono perentori sul tempo forte della battuta. Scrivo musica tonale ma con una libertà che la avvicina alla modalità”.
Scrive orizzontale o verticale?
“Scrivo le quattro parti una alla volta in maniera orizzontale. Uso non più di 6/7 note e – come prescrivevano i dettami della prima fase della dodecafonia – non le ripeto fino a quando non le ho esaurite. In questo modo il procedere melodico delle singole linee corrisponde a un contesto armonico determinato. Raggiungo un’armonia mutevole pur nella rigidità di una accordalità prefissata”.
Un’armonia modale?
“Lo dico ora per la prima volta: la modalità è la libertà assoluta”.
Sessant’anni di attività, 70 milioni di dischi venduti, due premi Oscar, due nuovi cd in uscita, uno per la Decca, un’antologia intitolata Morricone 60, l’altro per Arcana. Quest’ultimo – “Cinema per Archi” – realizzato dall’orchestra d’archi dell’Accademia di Santa Cecilia che ha per l’occasione arrangiato alcuni suoi brani.
Il cinema le deve molto, e viceversa. Quando ha capito di essere un musicista di grande successo?
“Bisogna stare molto attenti a lavorare per il cinema: puoi fare tanta musica che va bene al regista, poi scrivi qualcosa che a lui non piace e allora torni al tuo posto e il successo svanisce. Ma ho sempre avuto una mia tattica per difendermi da questa eventualità”.
Mattinata preziosa. Mi sta regalando la seconda confidenza?
“Siccome tante volte mi aspettavo che il regista dicesse ‘così non va bene’ dopo avergli fatto ascoltare un determinato pezzo che avevo scritto, ne avevo pronto un altro che immaginavo, o sapevo, gli sarebbe piaciuto. Ma intanto avevo scritto anche quell’altro, quello rifiutato. E me lo tenevo caro”.
Grande lezione di artigianato, e di astuzia professionale. Mai una volta che non siano piaciuti né il primo, né il secondo pezzo, che una sua colonna sonora sia stata rifiutata?
“Una volta sì. Maria! [la moglie del maestro, ndr] Maria, scusa ti ricordi come si chiamava quel film americano che dicevano che la musica era troppo forte… [Maria, da un’altra stanza: ‘Al di là dei sogni’]. Grazie. ‘Al di là dei sogni’, con Robin Williams. Andiamo al mixaggio e il regista, Vincent Ward, prima ancora di cominciare mi fa una specie di esame, mi chiede perché ho scritto ‘così forte, fortissimo’. Non era vero, era un modo per dirmi che la musica non gli piaceva. Quella volta è successo e se un regista ti dice così non vale la pena perdere neppure un minuto a discutere”.
Mai pentito di nulla?
“Di qualche atto di presunzione: pensare di salvare un film mediocre con la musica”.
Come si comporta quando – si sa che accade spesso – si rende conto che il regista, nei confronti della musica, non ha le idee chiare, o semplicemente non ha idee?
“Lo sforzo principale è comprendere il suo desiderio, anche se qualche volta le intenzioni vengono espresse in maniera non limpida”.
Una missione impossibile?
“La musica deve essere all’altezza del film, altrimenti non regge. Se è troppo più bella, è come vestire una bambola da Benedetto XVI”.
Un desiderio ancora da realizzare?
“Un’opera di teatro musicale. L’ho scritta, è pronta. Considerato l’argomento, che riguarda Napoli e la mitologia classica, la partitura è organizzata tutta su due tetracordi discendenti e sei suoni: mi-re-do-si e si-la-sol-fa”.
Sette suoni…
“Il Mi dell’inizio e il Fa finale coincidono”.
E dunque? Il risultato non la convince?
“Ho fatto un errore. Nella protagonista vivono due aspetti, uno molto sensuale, l’altro più puro. Ho scritto per due soprani diversi, ma ho confuso uno nell’altro. E non sono rimasto soddisfatto”.
Sta scrivendo qualcosa di nuovo?
“Da qualche mese sto pensando a una musica nuova, per me del tutto sperimentale”.
In astratto o per un progetto concreto?
“Per un nuovo film di Tornatore. Non un film commerciale, un lavoro breve, forse mezz’ora, del tutto sperimentale anche per lui. Ha già girato molta pellicola. Vediamo cosa accadrà”.
Lei non ama insegnare, non ha avuto allievi.
“Ho insegnato tre anni al Conservatorio di Frosinone, poi ho dovuto abbandonare per altri impegni. Avevo cinque allievi di composizione, alcuni bravi, altri meno. Ma non avevo pazienza. Ripetevo lo stesso concetto tre, quattro volte e quando rivedevo lo stesso errore, andavo in bestia. Mi arrabbiavo, gridavo, ero insopportabilmente severo. Ho fatto bene a smettere”.
Un consiglio per chi vuole tentare di fare il suo mestiere?
“Studiare al Conservatorio, e bene. Per diventare un compositore di musica per il cinema bisogna essere pronti ad affrontare sfide difficili e lo puoi fare solo se hai un grande mestiere. Può capitare di dover scrivere canzoni, musica folk, pezzi sinfonici, un brano jazz. Nel cinema c’è tutta la musica che vive oggi. La musica da film è un’arte sussidiaria, ma conoscendo il contesto e i limiti devi provare sempre a mantenere la tua dignità, e allora sarai contento”.
Goffreddo Petrassi, il suo maestro. Sta attraversando un periodo di oblio, le istituzioni musicali, anche le più autorevoli, lo programmano poco, pochissimo.
“Mi commuovo solo a sentire il suo nome. Un gigante. Noche oscura è un pezzo straordinario. Perché non lo eseguono?”.

Sandro Cappelletto

 

(da “Classic Voice” n. 222 – novembre 2017)

 


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