L’ultimo libro s’è fermato a 1.560 pagine, ma la sensazione è che se ne sarebbero potute leggere altrettante, senza dare adito alla stanchezza. Elvio Giudici ha concluso la sua monumentale traversata nella storia del teatro musicale attraverso le regie d’opera con il volume “Il Novecento e la musica americana” (ed. Il Saggiatore), che abbraccia un secolo breve e immane, da Puccini e Tan Dun, da Bartok a Glass, in un percorso di globalizzazione che rende sempre più necessario un buon orientamento e solidi riferimenti. Dopo i libri dedicati al Seicento e al Settecento, ai due volumi sull’Ottocento (uno dei quali appositamente riservato a Verdi e a Wagner), arriva quello più denso di connessioni con i nostri giorni, perché in molti casi i compositori citati da Giudici sono ancora vivi, attivi, e slegati dalle coordinate geografiche del secolo precedente. Chissà che questo non porti, a meno che non ci abbia già pensato l’autore, a un sesto volume sugli anni “Duemila”. In attesa di scoprirlo, è giunto il tempo di celebrare il compimento della maratona. Il 29 gennaio ore 19 al MaMu (Magazzino Musica) di Milano, in via Soave 3, Elvio Giudici sarà festeggiato da amici, lettori e musicisti che lo hanno accompagnato in oltre quarant’anni di attività come critico musicale, attento a non separare mai la musica dalla sua rappresentazione visiva, e a difendere l’opera nel suo diritto/dovere di aprirsi alla contemporaneità per raccontare l’uomo di oggi e non solo quello di ieri. Con lui – in una serata aperta al pubblico a ingresso libero – ci saranno cantanti (Luca Salsi, Carmela Remigio, Alex Esposito, Michele Pertusi), direttori (Michele Mariotti) e registi (Damiano Michieletto) che sono stati recensiti anche sulle pagine di “Classic Voice”, il principale “serbatoio” da cui Giudici – che collabora instancabilmente dal primo numero – ha ripreso e rielaborato il poderoso materiale accumulato in questi anni, sempre fedele a un principio di fondo: se l’interpretazione musicale è cambiata, com’è evidente a tutti, perché di pari passo non dovrebbe cambiare anche la messinscena? In poco meno di 6.000 pagine, contando tutto il quintetto di volumi, Giudici ha dimostrato che il teatro “invecchia” rapidamente e che le sue prassi, apparentemente immutabili, subiscono evoluzioni che la tecnologia rende ancora più urgenti. Ecco perché il suo lavoro non si è limitato al semplice censimento enciclopedistico del repertorio, ma è entrato nella carne viva delle rappresentazioni (dal vivo, in Dvd ma anche su Youtube), mostrando i successi e i flop, i capolavori e le occasioni mancate, con un’analisi capillare che ogni volta dà l’impressione di vedere (o rivedere) lo spettacolo.
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