Philippe Herreweghe, caleidoscopico direttore d’orchestra belga difficile da classificare, giunto alla svolta dei 70 anni – compiuti il 2 maggio scorso – lo si può descrivere sia come uno dei grandi barocchisti, alla stregua di Leonhardt e Harnoncourt, sia come musicista tout court. I suoi interessi e curiosità oltrepassano la musica rinascimentale per arrivare alla contemporanea. Questo è uno dei motivi per i quali abbiamo allegato a questo numero di “Classic Voice” un cd che contiene una fra le sue più riuscite interpretazioni dello Stabat Mater op. 58 di Dvorák. Il segreto sta tutto in un personaggio capace di catturare l’attenzione del pubblico attraverso un modo di fare musica che somiglia più a una conversazione con i suoni che a un mero concerto. Che sia merito delle sue competenze mediche? Giudicate voi stessi. Nel suo curriculum si contano sette anni di studi di medicina e 3 di psichiatria durante i quali ha lavorato principalmente con persone schizofreniche. “Non so se sia un bene che il pubblico che mi conosce come direttore d’orchestra sappia di questo mio lato B”, si chiede Herreweghe dandosi una spiegazione da psicologo comportamentale. “La gente ha un’immagine dispotica del direttore d’orchestra, come di qualcuno che decide per te: un uomo che devi seguire passivamente, uno che ha problemi di ego e li appaga ex cathedra brandendo la bacchetta di un’orchestra o di un ensemble”. Un’idea del proprio lavoro che il direttore belga è pronto a smontare.
(L’intervista di Alessandro Traverso a Philippe Herreweghe, che presenta l’incisione dello Stabat Mater di Dvorak allegato, continua sul numero di luglio-agosto di “Classic Voice”)