Dal numero di gennaio di “Classic Voice” alcune nuove rubriche si aggiungono a quelle già presenti, offrendo al ricca offerta di informazioni e notizie esclusive (e al nutrito cartellone di concerti e rappresentazione dal vivo e al palinsesto completo delle trasmissioni radiofoniche e televisive) l’opinione di alcune tra le nostre firme più autorevoli sui fatti del presente e del passato della grande musica. Alle ormai consuete Post (il direttore risponde) e Blog (di Quirino Principe), si aggiungono gli editoriali fissi di Alberto Mattioli (Foyer), Guido Salvetti (Historiae) e Mario Messinis (Sintonie). E altre novità sono annunciate per il numero di febbraio. Nella prima delle sue “chiacchiere d’opera”, Alberto Mattioli fa una riflessione su come cambia il pubblico della Scala. La pubblichiamo di seguito
Alla Scala si gira il remake dell’Anno del dragone. Con titolo leggermente modificato nell’Anno del cafone (e poi al Piermarini gira anche qualcosa d’altro, e pure piuttosto vorticosamente). Il problema è che il teatrone è infestato da un pubblico che non ha la minima idea di come ci si deve comportare. Prima, le aggressioni dei ritardatari alle maschere, colpevoli di far rispettare la regola che a spettacolo iniziato non si entra in sala. Poi, l’epidemia dei flash con i telefonini, che ha obbligato Daniel faccio-tutto-io Barenboim a fare anche il maestro di bon ton. Aveva appena attaccato una sonata di Schubert quando è stato bersagliato di lampi scattati da un’idiota in un palco di proscenio. Ha sospeso il concerto, le si è avvicinato, ha spiegato che aveva già chiesto un minimo di educazione in altre occasioni e che, non avendolo ottenuto, la signora o signorina era una gran maleducata. Applausi dagli altri spettatori. Compresi quelli, ne siamo certi, che fino a tre secondi prima selfavano tutto il selfabile.
Sull’emergenza cafoni la direzione del teatron de’ teatroni sembra presa un po’ alla sprovvista. Alexander Pereira ha emesso la famigerata circolare con la quale ordinava di iniziare gli spettacoli con cinque minuti di ritardo per evitare che le maschere fossero prese a male parole o peggio da chi crede che comprare un biglietto gli dia diritto a rompere le scatole agli altri. Poi, di fronte alla protesta del pubblico scaligero doc, educato alla sacrosanta regola che alle 20 si inizia, chi c’è c’è e chi non c’è si arrangia e, più ancora, che questa puntualità sia “da Scala”, il sovrintendente ha fatto marcia indietro. E ha mandato una lettera agli abbonati con la quale ripristina l’orario indicato dai cartelloni e chiede un po’ più di educazione.
Fiato e inchiostro sprecati. Gli abbonati della Scala sanno, più o meno, come ci si sta. Chi rompe (ma paga) non è il pubblico stanziale, bensì quello occasionale, i turisti che vengono non tanto per lo spettacolo quanto per l’emozione di entrare nel Tempio. Salvo poi scambiarlo per uno stadio. Al netto della gaffe di Pereira (“A Zurigo e a Salisburgo la regola dei cinque minuti l’ho sempre applicata, e nessuno ha mai protestato”. Quando si accorgerà che la Scala è un mondo a parte?) e della sciapa soddisfazione di chi fra il pubblico è ottusamente felice “di avergli dato una lezione”, è chiaro che il problema è destinato non solo a ripresentarsi, ma anche ad aggravarsi. Entriamo infatti nella stagione dell’Expo e la Scala, come del resto tutta Milano, sarà invasa da mandrie di turisti al di sotto del livello minimo di decenza comportamentale (e solo la speranza di intercettarli – per inciso – spiega l’attuale cartellone turistico-areniano del teatro).
Che fare? Una modesta proposta: prendere esempio da Bayreuth dove, prima che si alzi, sul sipario vengono proiettati a caratteri cubitali i loghi internazionalmente noti per “non fotografare”, “non usare il cellulare” e così via. Sono indicazioni a prova di idiota. Scommettiamo che potrebbe capirle perfino il turista-medio?
Alberto Mattioli