Pelléas al Maggio Fiorentino

Daniele Abbado racconta il “suo” Debussy (con Gatti sul podio) ricordando quando lo diresse Claudio

ATTO TERZO SCENA TERZA Una malinconica fiaba d’amore avvolta in una stupenda nuvola di suoni. Merito del suo autore, il francese Claude Debussy, che ha fatto di Pelléas et Mélisande un unicum nel suo catalogo di composizioni. Sarà forse per questo che la sua solitaria opera lirica ha affascinato molti registi importanti i quali, quasi come una sfida, ne hanno affrontato la messinscena. L’ultimo, in ordine di tempo, è Daniele Abbado. Debutto previsto dal 18 al 25 giugno all’Opera di Firenze nell’ambito del 78° Maggio Musicale Fiorentino (nel bozzetto, atto terzo scena terza).
Perché Pelléas et Mélisande?
“È stata una proposta di Daniele Gatti che sarà sul podio. Ho accettato molto volentieri perché è uno di quei titoli che desideravo fare da molto tempo. Si tratta di un’opera rivoluzionaria, considerata come l’atto di nascita ufficiale del teatro d’opera del Novecento, ma nello stesso tempo anche ‘un’opera irripetibile’, come l’ha definita Pierre Boulez, nella quale conta molto il mondo non umano, ovvero quello cosmico e della natura”.
Difficoltà nella messinscena?
Pelléas et Mélisande è una composizione, in qualche modo, ‘antioperistica’. Questo perché ha in tutto sette personaggi sulla scena, non prevede la partecipazione del coro e non ha azione dove coinvolgere figuranti e danzatori. Insomma, qui viene negato tutto quello che tradizionalmente può essere considerato un riempitivo. Inoltre Debussy sceglie di mettere in musica il dramma simbolista e poetico di Maurice Maeterlinck quasi integralmente, senza la mediazione di un libretto, distinguendosi così da tutti i compositori dell’Ottocento e del Novecento per cercare di descrivere l’impossibile e di addentrarsi nel mistero umano”.
Su cosa punta il suo allestimento?
“Si dice spesso che il regista deve ricordarsi che la musica è testo. E, in questo caso, lo è più che mai. Per questo l’aspetto che più m’interessa emerga, oltre allo scavo psicologico dei personaggi, è far reagire il palcoscenico a questa enorme ricchezza musicale dove è l’orchestra a cantare più che gli interpreti. Paradossalmente il testo di Maeterlinck è pieno di parole, ma, alla fine, la musica le circonda, le isola, le sospende con molti silenzi. E, alla fine, è come se tutte queste parole fossero del tutto inutili. Ecco perché quest’opera ha bisogno di mantenere teatralmente un equilibrio tra la parte astratta, misteriosa, legata alla natura e quella legata alla concretezza psicologica dei personaggi”.
Per Debussy i cantanti dovevano dimenticarsi di essere tali. Per lei?
“Anche, e l’ho chiesto alle prove anche al cast interamente italiano. Nei ruoli del titolo troviamo infatti il Pelléas del giovane Paolo Fanale, voce davvero molto interessante, e la Mélisande della fuoriclasse Monica Bacelli che ha già cantato la parte in altri teatri. Mentre il ruolo di Golaud è sostenuto da Roberto Frontali. Abbiamo poi degli interpreti di lusso per i ruoli di Arkël con Roberto Scandiuzzi e di Geneviève con Sonia Ganassi”.
Suo padre, Claudio Abbado, amava quest’opera. Ne avete mai parlato?
“Il periodo in cui Claudio ha affrontato per la prima volta Pelléas et Mélisande è stato alla Scala di Milano nell’85-’86. Erano gli anni in cui vivevamo insieme nella stessa casa, a stretto contatto, soltanto io e lui. Abbiamo discusso tanto di questa partitura che lui avrebbe diretto per la prima volta nell’edizione critica, la stessa che facciamo ora a Firenze, apportando tutti i piccoli e grandi cambiamenti che Debussy aveva fatto nel tempo dopo il debutto assoluto dell’opera il 30 aprile 1902. Mi ricordo che accompagnavo Claudio alle prove e lo vedevo felice ed entusiasta. Forse anche per questo ora mi sento pronto per Pelléas et Mélisande, un’unione che vola alta, oltre le note”.

Antonio Garbisa


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