“Rossini è un autore che mi ha accompagnato e mi accompagnerà per tutta la vita. Sono cresciuto ascoltando Rossini, cercando continuamente di capire cosa si deve e soprattutto non si deve fare per renderne al meglio l’immenso suo contenuto, che può essere nascosto sia da certa antica tradizione di sovrapposizioni, alterazioni e così via, sia da eccessiva smania di ripristino di alcune prassi esecutive dell’epoca, da tenere certo in considerazione, senza però sconfinare nel fanatismo”. Le famigerate variazioni, insomma: si devono fare? E come le si devono fare? “Variare una ripetizione è assolutamente necessario, certo. Ma non è indispensabile aggiungere una valanga di note, che mettono senz’altro in gloria il cantante, ma col cospicuo rischio d’attenuare il momento espressivo. Il confine tra interessante e banale, al riguardo, diventa esiguo. Per me, ripetere variando dinamica, spessori, agogica, durata o addirittura introduzione delle pause, significa tornare sullo stesso concetto ma ponendolo nella luce diversa fornita da colori sempre mutevoli, così da approfondirlo, oppure da porlo in dubbio, oppure ancora da esaltarlo di più: dipende dalla natura del personaggio, dalla situazione in cui si trova. Nessuno varia le note di Schubert, che pure reitera molte volte la stessa frase: la quale viene però variata – e molto – grazie al modo con cui la si ripresenta. Se la variazione in Rossini la si fa in senso strutturale al carattere del personaggio (o alla situazione, se si tratta d’un concertato), a mio modo di vedere il carattere si sfaccetta molto di più, come pure molto di più si chiarisce il significato d’una situazione”.
La Cover Story dedicata al “rossiniano” Michele Mariotti, premio Abbiati come miglior direttore dell’anno, è sul nuovo numero di “Classic Voice” (n. 215, aprile 2017)