ROMA – Sondra Radvanovsky, statunitense classe 1969, incarna un modello di soprano a cui non siamo più abituati, qualcosa di simile alla “voix absolue”, quell’araba fenice di cui si favoleggia nella mitologia operistica. Insomma una voce grande e duttile, capace di passare dal belcanto arioso alle parti drammatiche, cui si aggiunge adesso anche Turandot, a Santa Cecilia il prossimo 12 marzo. “Per me è un debutto nella parte e lo è anche per Jonas Kaufmann”. Un debutto che avrà eco discografica (la produzione sarà incisa per Warner) e che avviene subito dopo le serate napoletane in cui Radvanovsky ha interpretato tre finali donizettiani nei panni di altrettante regine: Anna Bolena, Maria Stuarda ed Elisabetta I nel Roberto Devereux. In questo caso, però, c’è già un approdo discografico, appena uscito per l’etichetta Pentatone con la direzione di Riccardo Frizza.
Partiamo però da Turandot. Non è la prima volta che lavora con Kaufmann e con il maestro Pappano.
“Quando si lavora con artisti di questo calibro, si innalza subito il livello. Jonas Kaufmann non è solo un meraviglioso cantante, è un grande artista capace di creare qualcosa di unico sul palco. Abbiamo un’ottima chimica e ci vogliamo molto bene. Quanto al maestro Pappano, è difficile descrivere quel che riesce a fare, la cura che mette in ogni dettaglio e come costruisce tutto sulla parola”.
È difficile per una cantante americana scavare tra le sfumature dell’italiano, trovare il significato profondo di ogni parola?
“L’italiano è la mia seconda lingua, quella in cui canto più spesso e che studio da quando avevo diciassette anni, quindi ormai è parte di me. Lavoro spesso con maestri ripetitori madrelingua, quindi penso di capirlo bene. Poi sappiamo benissimo che l’italiano dei libretti non è quello che si usa abitualmente, capita di trovare parole che nessuno conosce. Credo che la cosa fondamentale sia chiedersi cosa il compositore, nel caso specifico Puccini, volesse dire quando ha scelto quella determinata parola, quale fosse il senso che aveva per lui in quel contesto, e partire da lì”.
Verrà effettuata una registrazione di questa Turandot?
“Sì, registreremo l’opera, ma nei giorni che precedono la recita, che credo sia un’ottima cosa perché ci darà modo di lavorare a fondo sui dettagli. Sarà come fare delle prove extra”.
A marzo esce anche il suo recital dedicato alle Regine donizettiane diretto da Riccardo Frizza.
“Nasce da un’idea che ho avuto dopo aver portato in scena la tre regine al Metropolitan. Mentre eravamo impegnati in una Norma a Chicago, Riccardo mi disse: ‘Non sarebbe meraviglioso se facessi un concerto con le scene finali delle tre opere di Donizetti tutte assieme?’. La proposta mi piacque e il disco è nato proprio da una ripresa del concerto. Ne è scaturito un progetto che abbiamo portato e porteremo in diversi teatri: Napoli, Barcellona, Madrid, Berlino e così via”.
Un programma impegnativo.
“Lo è soprattutto perché le tre parti non sono scritte per lo stesso tipo di voce. Anna Bolena è piuttosto grave, Maria Stuarda è un soprano lirico, Elisabetta è un drammatico di coloratura, quindi metterle in fila una dopo l’altra richiede (continua…)”.
Paolo Locatelli
L’intervista di copertina a Sondra Radvanovsky continua nel numero 274 di “Classic Voice” (marzo 2022):
www.classicvoice.com/riviste/classic-voice-digital/classic-voice-274-digitale.html
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