[interpreti] R. Alagna, I. Thomas, J.-P. Lafont, R. Rittelmann
[direttore] Michel Plasson
[orchestra] National d’Île-de-France
[2 cd] Dg 480095-8
“Vo’ fare ammenda”, come Otello: dopo aver pensato tutto il male possibile del patchwork musicale cucito da Lorin Maazel sul suo 1984, mi pare attinga siderali altezze musicali adesso che ho ascoltato questo pastone: frutto letterario della Santa Trinità Fratelli Alagna sulla scorta del racconto di Hugo e frutto musicale del solo – ma basta e soperchia – David. Crescendi di tremoli degli archi scanditi da timpani su cui il fratello divo può scalare (più o meno bene; frequente la seconda) l’acuto, naturalmente seguiti da rapida discesa in glissando per poi procedere, in attesa della successiva e mortalmente identica trovata, su un brodoso declamato punteggiato quinci e quivi da vaghezze armoniche.
Coloriti scuri perché siamo in carcere. Ogni tanto un parlato che fa sempre messaggio. Quell’ispirarsi onnivoro che ricorda dappresso quanto Romolo Valli ebbe a dire a Bertolucci mentre giravano Novecento: attento Bernardo, troppi omaggi fanno un plagio. E s’ispirasse quantomeno al grande Novecento, il David. Macché: solo i bassifondi del verismo, quel plumbeo incedere vocale sempre stentoreo, sempre “attenti che adesso arriva l’acuto”, inespressivo perché ogni sillaba la si vorrebbe iper-espressiva, noia mortale pagina dopo pagina, l’unico suo merito è levare una sempre utile protesta contro la pena di morte. Eseguita pure male: Alagna (il fratello divo) canta perennemente col grido dietro l’angolo, e svolta spesso; Indra Thomas ha un vibrato stretto da paura, è stridula, arida, ululante; il canto di Jean-Philippe Lafont è ormai un ectoplasma vocale che apre a più non posso nel vano intento di farsi udire.
Elvio Giudici