interpreti L. Crowe, J. Lunn, N. Stutzmann, C. Balzer, M. Brutscher, C. Immler, L.Tottolo
direttore Marc Minkowski
orchestra Les Musiciens du Louvre
2 cd Naïve 5145
Minkowski frequenta Bach fin da quando suonava il fagotto nella Cappella Reale di Herreweghe. La sua lettura della Messa in si minore rende evidente la convinzione di trovarsi di fronte a un’opera dove coesistono sia la più alta spiritualità sia un trattamento vocale e strumentale la cui tessitura si rifà alle pagine orchestrali più grandi, come le suite e i concerti. Più che un mosaico di materiali provenienti da momenti diversi, la Messa di Minkowski è un grande affresco impostato su due diverse campiture: la prima solenne, ma le cui tinte scure enfatizzano il tono intimo e severo già insito nel prevalente si minore; la seconda, aperta dal grandioso Simbolo di Nicene (il Credo) in re maggiore, decisamente più movimentata e ricca di contrasti cromatici nei quali sono comunque i più luminosi a prevalere. La potenza drammatica che pervade da cima a fondo questa lettura travalica il misticismo liturgico, ma sarebbe errato definirla teatrale, almeno secondo i moduli del teatro dell’epoca riferibili a Händel e Telemann: se di teatralità si tratta, s’articola in termini d’accento legato all’immagine testuale.
Per esaltare questo trionfo della polifonia e del contrappunto, Minkowski ha fatto ricorso – come del resto pare facesse Bach – a dieci diverse voci soliste che fungono anche da coro e, quando occorre, perfino da concertino vocale. Uno shock, senza dubbio, per chi come me è cresciuto sulle favolose, grandiosissime incisioni di Klemperer e – mezzo gradino più giù – di Karajan. Ma salutare. Shock che si reitera ormai da oltre trent’anni, giacché sono molti i grandi direttori che hanno ripensato Bach (e non solo Bach) alla luce delle diverse possibilità offerte dal ritorno a moduli stilistici infinitamente più asciutti che il grande – e spesso pernicioso – rullo compressore del romanticismo aveva cancellato: uno per tutti, Abbado allorché a Salisburgo rivisitò le bachiane Messa e Matthäeus Passion con orchestra e coro ridottissimi entrambi, e gli esiti furono stupefacenti. Come lo sono in questa registrazione.
Trasparenza e chiarità cartesiane non implicano necessariamente evanescenza sonora ma più spesso anzi il contrario: e nella nitidezza da disegno a china dei contorni ritmici, nell’evidenza con cui si scolpiscono i dettagli, nella smaltata, aurorale brillantezza dei colori, il contrappunto s’innalza come una vertiginosa cattedrale gotica dalle cui immense vetrate policrome si sfrangi una luminosità straordinaria. Molto contribuisce, al risultato finale, lo staccarsi repentino di una o due voci soliste dal gruppo di dieci coristi: sono tutti bravissimi specie perché sono tutti sulla stessa lunghezza d’onda artistica, comunicando un’intensità espressiva fatta d’esultanza e di serenità quali questo monumento ben di rado è riuscito a raggiungere.
Elvio Giudici