direttori vari 17 cd Deutsche Grammophon 479 5805 prezzo 45,90
Se paragonata alla storia di orchestre sassoni come quelle di Dresda o Lipsia, la parabola biografica dell’Orchestra Sinfonica di Bamberg sembra quella di un’adolescente. Sinfonicamente parlando, settant’anni – quanti ne compie oggi la formazione pubblicando un cofanetto celebrativo – è infatti ben poca cosa. Eppure è stato un lasso di tempo sufficiente all’orchestra per creare un rapporto di identificazione tra sé e la splendida città patrimonio dell’Unesco dove risiede che non ha uguali in un paese sia pure ad altissima densità sinfonica come la Germania. Sarà la collocazione un po’ appartata della cittadina bavarese, sarà la necessità di differenziarsi rispetto alle gloriose compagini della regione: fatto sta che i Bamberger Symphoniker vantano il più alto tasso medio di abbonati e sostenitori in Germania e che sono riconosciuti pressoché unanimemente dalla critica come una delle orchestre dal dna più autenticamente tedesco, depositaria vigile e accorta di una tradizione che inizialmente (ovvero nell’immediato 2° dopoguerra) ha solo importato ma che poi, man mano che altre Kapellen andavano internazionalizzandosi, le si è appiccicata addosso.
Ecco dunque uscire un cofanetto che in 17 cd, alcuni dei quali inediti, ripercorre le tappe salienti della storia dei Bamberger, partendo naturalmente da Joseph Keilberth, il primo direttore musicale, e arrivando a Jonathan Nott, l’ultimo, che dopo l’estate lascerà il posto a Jakub Hruša. In mezzo, vi sono le migliori registrazioni dei direttori che hanno alimentato il fiume di questa musica, da Fritz Lehmann a Ferdinand Leitner, da Clemens Krauss a Rudolf Kempe, da Eugen Jochum a Wolfgang Sawallisch, da Jascha Horenstein a Kurt Sanderling, da Antal Dorati, a Giuseppe Sinopoli, da Horst Stein a Günter Wand, da Christoph Eschenbach a Herbert Blomstedt, l’attuale direttore onorario.
Come si vede, non si tratta solo di direttori tedeschi e anche tra questi ultimi vi sono personalità tutt’altro che affini – si pensi a Rudolf Kempe e a Eugen Jochum, ad esempio – eppure chi abbia la fortuna di immergersi in questo mare non faticherà a individuare una rotta sicura, mai messa in discussione da venti o correnti di sorta. E questa rotta è data dal carattere di profonda “tedeschitudine” della formazione, che resta tale indipendentemente da chi la diriga. Questa qualità è ravvisabile nella densità del suono, nella profondità di una arcata a tutto braccio, nella calma possente dell’incedere, nel vellutato apporto dei legni e nella luminosità opaca, madreperlacea, degli ottoni. L’attitudine al contrappunto permette poi alle file, mai numerosissime ma compatte nella loro impressionante forza d’urto, di trovare di volta in volta l’equilibrio sonoro che permetta di riconoscere l’articolazione del disegno polifonico, cosicché la necessaria trasparenza non è frutto di un suonino magro e leggero ma di una magica geometria di spessori.
Chi ami un’identità del genere, trova dunque in questi 17 cd una fonte perpetua di godimento. E così alta che è difficile segnalare quali incisioni meritino particolare attenzione. Certo, l’esordio con La Moldava di Smetana diretta da Keilberth è impressionante, mentre la Nona bruckneriana di Jochum è semplicemente sconvolgente. Mai banali sono poi le incisioni mozartiane e schubertiane o le incursioni nel mondo fatato e leggero delle operette degli Strauss o di Otto Nicolai. I boemi Smetana e Dvorák ricorrono spesso come autori particolarmente amati e sentiti, anche se è con Beethoven e Schumann, Brahms, Bruckner (più di Mahler) e Richard Strauss che l’orchestra vanta una confidenza speciale.
Ascoltati questi tesori, resta solo da augurare ai Bamberger Symphoniker di mantenere la loro identità così marcata anche per i prossimi 70 anni, a dispetto dell’inevitabile (ma non necessariamente negativo) processo di globalizzazione in atto ormai da un paio di decenni.
Enrico Girardi