interpreti I. Seefried, D. Fischer-Dieskau direttore Rafael Kubelík orchestra Swiss Festival Lucerna cd Audite 95.626 prezzo € 13
Fare, non si dice una graduatoria, ma una semplice conta dei sommi direttori d’orchestra che il Novecento ci ha lasciato in dote sarebbe compito affaticante; ma per copioso che si riveli il catalogo nessun Leporello potrebbe escludere da esso un interprete del magistero di Rafael Kubelík. Per quel che concerne chi scrive basterà dire che dalla bacchetta di questo signore svizzero d’origine céca ho udito in disco il miglior Rigoletto e i più incantati Meistersinger mai frequentati; e non basta, perché ad avvalorare i fatti arriva adesso in cd, eccellentemente rimasterizzato, un Castello del duca Barbablu bartokiano di cui mai avevo percepito a tal livello la visionarietà e il malessere. La registrazione risale al 1962 quando il Festival di Lucerna ne approntò un’esecuzione concertistica che associò al grande maestro due personaggi vocali del calibro di Irmgard Seefried e Dietrich Fischer-Dieskau. Unico neo, se proprio si vuol far gli incontentabili, la scelta della lingua tedesca, ma neo tutto sommato discretamente assorbibile per un ascoltatore italiano vista la comune matrice pluriconsonantica di due lingue come appunto il tedesco e il magiaro. La direzione di Kubelík è di sommo equilibrio e altissima tensione: dalla cupezza dell’iniziale sipario pentatonico al soffio di impenetrabilità delle battute conclusive si compie un’arcata di suggestioni che svela culmini impensati: lo sfavillio degli strumentini nella stanza dei gioielli, il trionfante e insieme sinistro do maggiore di ottoni e organo ad apertura della quinta porta, il rifrangersi delle sonorità allucinate di arpa e celesta nell’episodio del lago di lacrime, l’intera lettura si consegna al Leitmotiv dell’incubo senza che venga posto in atto alcun espediente che ne enfatizzi la portata, quasi con innocente naturalezza. E la splendida formazione orchestrale di Lucerna segue gli intenti della bacchetta sfoggiando immedesimazione timbrica perfetta.
Non meno egregio è altresì il duo vocale adibito alle rispettive parti. Il fraseggio e l’accento scolpito di Fischer-Dieskau svelano gli anfratti di debolezza e malessere di Barbablu, quasi costui fosse vittima, ancor prima che artefice, del suo crudele destino; e certe screziate mezze voci fanno aggio sul colore non propriamente ideale alla parte concorrendo alla definizione di una tetra, nobile tormentosità. Ancor più sorprendente, se possibile, è la partecipazione di Irmgard Seefried alla definizione dell’ultima donna del duca. Il peso vocale della Seefried era di per sé quello di un lirico-leggero, poco idoneo dunque alla parte, ma l’intelligenza della cantante, per citare ancora una volta Leporello, era cosa rara perché ella fa dei suoi stessi limiti di spessore e colore la carta vincente del confronto: l’allucinato pallore delle interiezioni di insistenza con cui ella ricerca una verità che non potrà esserle che fatale, la quasi innocente fragilità del declamato divengono ideali alla definizione caratteriale della donna e pongono, a mio giudizio, il soprano austriaco, se non al primo posto, almeno nella galleria ideale delle grandi Judith del secolo.Aldo Nicastro