violino Patricia Kopatchinskaja
direttore Philippe Herreweghe
orchestre des Champs-Élysées
cd Naïve V 5174
Un Beethoven “filologico” con molte proposte insolite. Il giovanile frammento di Concerto per violino in do maggiore (1790-92) potrebbe far parte di un manoscritto completo di cui una parte è andata perduta nei numerosi traslochi di Beethoven: giustamente viene eseguito senza tentativi di completamento, come un frammento che si interrompe. Le due Romanze op. 40 e 50 sono interpretate con molta finezza e qualche libertà che ne anima la semplicità. Nel meraviglioso Concerto in re maggiore la giovane violinista Patricia Kopatchinskaja, nata in Moldavia e cresciuta a Vienna, collabora con Herreweghe e con la sua orchestra che lavora con strumenti d’epoca, e si ispira a ciò che si sa del modo di suonare di Franz Clement, il primo interprete del Concerto. I tempi sono abbastanza rapidi e molto flessibili, si tiene conto di alcune varianti del manoscritto e soprattutto si persegue una estrosa e varia ricerca nel fraseggio e nel suono, tendenzialmente leggero. Ci si allontana così sensibilmente dalla nobilissima tradizione “classica” della interpretazione di questo capolavoro, con un estro e una libertà che sono indiscutibilmente affascinanti nel Rondò finale e nella purezza cantabile del Larghetto, possono forse sorprendere o far discutere nel primo tempo (confesso che il primo ascolto mi è piaciuto meno del secondo). Una sorpresa di grande interesse offre la cadenza: qui Patricia Kopatchinskaja usa quella che lo stesso Beethoven scrisse per la trascrizione pianistica (non compiuta da lui) del Concerto per violino. La percussione vi interviene a dialogare con il solista. Beethoven non avrebbe pensato una cadenza violinistica negli stessi termini di una pianistica; ma è interessante conoscere l’idea compositiva di integrazione della cadenza all’interno del Concerto, che fa parte della sua ricerca fin dal Terzo Concerto per pianoforte.
Paolo Petazzi