pianoforte Murray Perahia cd Dg 4798353 prezzo 18,60
Ci sono voluti molti anni per la definitiva maturazione di un pianista come Murray Perahia, in carriera dagli anni 70 (quando vinse il primo premio al concorso di Leeds), temporaneamente fuori dal “giro” per circa un anno nel 1992-93 a causa di una operazione chirurgica a una mano, e considerato all’inizio come uno strumentista talentuoso sì, di ottima scuola, ma non inserito nella categoria “stellare” degli Ashkenazy, dei Pollini o dei Barenboim. C’erano alcuni aspetti che in lui non convincevano del tutto, forse derivanti da un atteggiamento caratterialmente “troppo mansueto”, da una non sempre perfetta rispondenza di fronte al pubblico, da una non precisa presa di posizione interpretativa nei confronti dei classici, che erano e sono rimasti al centro delle sue attenzioni. Eppure a partire dalla fine degli anni Novanta si è assistito a un processo di rinnovamento, di crescita interiore che è avvenuto anche grazie al supporto di artisti che credevano ovviamente in lui e con lui hanno collaborato spesso, da Abbado, Muti a Haitink e Mehta. I suoi recital – ne abbiamo ascoltati tanti a Milano – divenivano sempre più interessanti e “organici” nelle scelte di repertorio. Nel suo Bach si aggiungevano suggestioni profonde che andavano al di là del “bel suono”, lo Chopin diventava più granitico, il Mozart meno rococò e manierato rispetto ai pur bei Concerti da lui incisi con l’European Chamber Orchestra, Beethoven e Brahms più personali rispetto a una visione giovanile che (lo avevo ipotizzato diversi anni fa) sembrava risentire del troppo forte magistero del suo nume tutelare Rudolf Serkin. Le due sonate presentate in questo cd sono state eseguite da Perahia diverse volte in pubblico e posso assicurare che il suo dominio della terribile “106”, presentata ad esempio a Milano nel marzo di due anni fa, era completo e impressionante. Non è facile suonare questo tipo di repertorio mantenendo una qualità di suono simile, non rinunciando ad esaltare i punti più vivi di un discorso di complessità incredibile. Vi è solo da sperare che il pianista americano continui su questa strada, proseguendo ad esempio nel recupero di altre letture beethoveniane che gli abbiamo sentito proporre in concerto (l’Appassionata, le op. 90, 109, 110, 111), ritornando su Schumann e su tanti altri autori nei quali crede fermamente.
Luca Chierici
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