Bottesini – Ero e Leandro

Bottesini - Ero e Leandro

interpreti V. Mercier, G. L. Pasolini, R. Scandiuzzi
direttore Aldo Salvagno
orchestra Filarmonica del Piemonte
regia Laura Borello-Gregorio Zurla
regia video Ricardo Zurla
formato 16:9
sottotitoli It., Ing., Fr., Ted., Sp.
dvd Dynamic 33670

Completezza, che non si fa in tuo nome! Resta inteso che esprimo solo un’opinione personale suggerita da gusto parimenti personale, senza alcuna pretesa di verità rivelata. Ma continuo a chiedermi le ragioni dello strano gusto per i bassifondi, che induce a insistere nell’esplorazione del repertorio minore e minimo del secondo Ottocento, dal quale non uno solo degli ormai innumerevoli titoli è mai rientrato in repertorio, e questo pazienza: ma nessuno ha mai aggiunto niente che già non si sapesse alla storia del nostro teatro musicale. Per contro, sostanzialmente nulla da noi si sa di quanto succede adesso nel teatro musicale in quanto tale, anch’esso ovviamente soggetto alla globalizzazione. Mai rappresentata da noi, ad esempio, quella Susannah di Floyd che in America ha passato le duemila recite. Uno scampolo di Adams, poi più niente: e lo fanno al Met oltre che in tutti gli States, dove opere nuove si succedono ad ogni stagione in ciascuno dei moltissimi luoghi dove il teatro musicale è vivo e lotta per tutti tranne che per noi. A Parigi stanno riscoprendo il valore, l’attualità e la forza teatrale dei grandi musical, eseguendoli come si deve con grandi voci, orchestre, coro, messinscene affidate a registi di valore, e noi si fa quella schifezza della Vedova allegra di Pizzi alla Scala: e solo quattro gatti furono a Lugo quando diedero un magnifico Sweeny Todd e una pregevole ancorché un po’ generica Powder her face. Mi fermo qui, ma se andassi avanti riempirei la rivista.
Pazienza: vediamoci questa opera del cremonese Bottesini operista e compositore di pregevole musica da camera, didatta, amico di Boito che aveva scritto per sé questo libretto ma glielo cedette. La storia è quella del noto mito di Ero e Leandro, divisi da sorte avversa che Boito complica introducendo il personaggio del perfido Ariofarne: lui la raggiunge a nuoto attraversando l’Ellesponto, ma nel tornare annega e lei si suicida mentre il cattivo esulta. Un gruppo di entusiasti giovani cremonesi ci hanno creduto, e l’hanno portata in scena coinvolgendo il grande Roberto Scandiuzzi, il cui carisma e la cui autorità vocale resero credibile addirittura l’Arcibaldo di Montemezzi, e quasi riescono nell’impresa abbastanza analoga di dare consistenza al suo fratellino minore Ariofarne. Circa lo spettacolo, si fa quello che si può con un budget che s’indovina risicatissimo. D’altronde, sappiamo: quando ci sono tanti soldi, si fa il naturalismo zeffirellian-pizzesco; sono meno, e si va sul moderno; sono quasi niente, e si fa la scena nuda con una scala e qualcosa che funga da allusione citazionale. In questo caso, la scala sta dietro, e davanti c’è sempre un tavolo che fa ritrovo, altare, talamo e quant’altro. I versi sono del Boito celato dietro l’anagramma Tobia Gorrio, cioè a dire tipo Gioconda, solo persino più divertenti. L’orchestra è volonterosissima, Scandiuzzi grandioso, il soprano molto bella, il tenore no.

di elvio giudici


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306 Novembre 2024
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