Carter – I cinque Quartetti per archi

quartetto Juilliard
2 cd   Sony 88843033832                                
prezzo € 22

 

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Si tratta della importante registrazione effettuata dallo Juilliard tra il dicembre del 1990 e il gennaio del 1991, sotto la diretta supervisione di Carter che, come raccontano nel libretto Samuel Rhodes e Joel Krosnick, rispettivamente viola e violoncello del famoso Quartetto, era tanto puntiglioso quanto chiaro nell’indicare la precipuità degli esiti sonori. Autorevolissima quindi questa proposta dell’integrale quartettistico – ma pure pregevole quella del Pacifica Quartet (Naxos) come pure quella degli Arditti (Naïve) – che ci consente di percorrere l’ampia arcata dell’itinerario compositivo del musicista, scomparso ultracentenario, attraverso il percorso più segreto quale quello svelato dai cinque Quartetti, il primo risalente al 1951, seguito nel 1959 dal secondo (Premio Pulitzer 1960), dal terzo nel 1971 (Premio Pulitzer 1973), dal quarto nel 1986 per arrivare nel 1995 al quinto (commissionato dagli Arditti) appartenente all’ultimo periodo più chiarificato, attraversato secondo il suggerimento dello stesso Carter ammiratore di Italo Calvino da una “leggerezza pensosa”. Musica difficile, nella sua complessità e pur intimamente affascinante per il modo con cui l’ascoltatore si sente progressivamente avvolto dalla trama mobilissima e rigorosa ad un tempo delineata dai quattro archi (che nel terzo si separano in due Duo per convergere nell’intenso Corale finale). Un intreccio di immagini musicali che vanno componendosi e disfacendosi come attraverso un caleidoscopio sonoro; perché è proprio in questa sensazione di un discorrere librato che si realizza il tratto di originalità della musica di Carter, in quella sua visione del tempo, non più inteso come dato puramente diacronico, bensì come tempo psicologico, come nozione che attraverso il suono sembra muoversi in modi diversi, a ritroso come in espansione, sovrapponendo così conscio ed inconscio. “Volevo confondere questo e quello – ricordava Carter –  facendo in modo che esercitassero un’azione reciproca in maniera diversa dalla successione lineare”. Intendimenti che si traducono in una complessa organizzazione sonora che tuttavia è mossa da una interna discontinuità, attraverso una particolare poliritmia – desunta anche dal jazz come dalla madrigalistica rinascimentale – che mette continuamente a confronto l’ordine e il disordine temporale, spesso in una suggestiva, se pur impalpabile reciprocità di scambi. L’ascolto di questi mirabili Quartetti, il raggiungimento più alto in questa classica  formazione, dopo quelli di Bartók e di Sostakovic , mette a fuoco la figura di Carter entro la tormentata vicenda vissuta dalla musica nel Novecento rivelando l’originalità con cui il compositore ha perseguito un proprio ideale di bellezza, senza alcun tributo alle “mode”.
Gian Paolo Minardi


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