[interpreti] P. Schuman, M. Doss, A. M. Martinez, H. Vasquez, O. Gradus
[direttore] Patrick Summers
[orchestra] Houston Grand Opera
[2 cd] Albany Records 531/32
Un barcone risale il Rio delle Amazzoni diretto a Manaus, verso il mitico teatro d’opera nella giungla, da riaprirsi con un concerto d’una celeberrima diva nativa del luogo che vi manca da vent’anni, fuggita da una storia d’amore cui ora, malata d’acuta nostalgia, vorrebbe ritornare viaggiando in incognito assieme a due coppie i cui casi s’intrecciano e si sciolgono. Viaggio esotico, amore che si ricorda e s’insegue mentre altri s’accendono, Gloria Swanson nella giungla amazzonica: di materiale melodrammatico ce n’è a iosa, su libretto agile e ben scritto nella sua evidente derivazione dalla prosa di Gabriel Garcia Marquez.
Il messicano Daniel Catan ha scritto musica tonalissima, d’intenso spessore melodico, dallo stile composito com’è quasi sempre il caso dei compositori moderni dell’America americana e latina, e soprattutto finalizzata a una vicenda dal forte impatto teatrale, quindi popolata di figure i cui contrasti e relazioni reciproche sono sbalzati a vivo entro una cornice i contorni della quale ci si sforza d’evidenziare al massimo facendone nel contempo parte integrante della storia. In breve: hanno qualcosa da raccontare, e sanno farlo con la consumata abilità teatrale che della tradizione anglosassone – prosa, musical, opera – è elemento fondante dagli elisabettiani in giù. Gli esiti, in termini puramente musicali, possono essere vari com’è ovvio, ma al teatro in musica laggiù continuano a credere come dimostra la presenza costante di almeno un’opera nuova per ogni cartellone d’ognuno dei moltissimi teatri lirici sparsi per gli Stati Uniti, tra i quali sta in prima fila il Grand Theatre di Houston (che di teatri d’opera ne ha due, grandi e sempre esauriti) sotto la direzione intelligente e spregiudicata di David Hockney. Qui nacque sei anni fa anche quest’opera: piuttosto bella, intrigante e teatralmente senza dubbio suggestiva. Un video sarebbe stato meglio: ma l’incisione (che s’unisce a uno stuolo ormai ben folto: ma l’opera, non era morta?) è molto ben fatta, assai ben suonata, ben cantata ma soprattutto interpretata non quale dovere culturale bensì come fosse Verdi o Puccini. Che è quanto davvero dimostra la validità sia del genere sia del modo di tenerlo in vita: e noi continuiamo a raccontarci con altera spocchia la favoletta degli americani rozzi e ignoranti.
Elvio Giudici