violino Maxim Vengerov ensemble Shanghai Symphony Ochestra direttore Long Yu cd Deutsche Grammophon
Mister Tamburino, non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare. Caro Franco (Battiato), i tempi sono già cambiati, e forte, se l’etichetta gialla per conservarsi ton sur ton ha dovuto andare a Shangai.
L’operazione è arguta. Il caro cartiglio giallo stacca sopra una foto in bianco e nero che allude alle copertine Deutsche Grammophon anni cinquanta: il direttore Long Yu, in elegante spezzato grigio/blu, regge una classica bici con freni a bacchetta in un angolo di Shangai che pare uno scorcio di Parigi o di New York. Quasi una cadenza d’inganno.
Per i contenuti, Long Yu mette le mani avanti e ricorda che la Rivoluzione di ottobre mosse tanti musicisti russi verso Shanghai, dove insegnarono, fondarono scuole, instillarono un virus occidentale che non è dunque di oggi.
E un aggiornato incontro Cina-Occidente via Russia vuol essere questo album congegnato con cura. Il violino di Maxim Vengerov s’impegna a tirare a lucido un occhieggiante accostamento di brani; due di un autore di casa, Qigang Chen, classe 1951: una Suite per orchestra in cinque parti sui Cinque elementi della natura nella concezione cinese e un Concerto per violino e orchestra (in prima registrazione) intitolato alla Gioia della sofferenza. A seguire, due pagine “giuste” di grandi occidentali, Fritz Kreisler e Sergei Rachmaninov, la prima perché dà il braccio a Chen – è il Tambourin chinois op.3 per violino e orchestra – l’altra perché serve ai musicisti di Shanghai di che mettersi in vetrina (le Danze sinfoniche op. 45). Tema ineccepibile.
Svolgimento. Nel primo brano sinfonico, Qigang Chen concentra in cinque movimenti-lampo le sue personali suggestioni su Acqua, Legno, Fuoco, Terra e Metallo, nella lingua ormai universale, astratto-concreta, del dopo-Stravinskij, con qualche orientalismo che gli viene dalla tradizione, con garbo. Il Concerto per violino che allude alla Gioia della Sofferenza è di taglio diametralmente opposto: melodico, con venature pentatoniche e qualche rimembranza pucciniana, non un capolavoro di originalità, che Vengerov non fatica a risolvere. Chen lavora, almeno in questi titoli, per numeri brevi (ben 10 il Concerto). Successioni di episodi più che sviluppi su archi lunghi. Un metodo? Non so, ma fa bene alla comunicazione.
La “cineseria” di Kreisler (tre minuti e mezzo), che Vengerov risolve in scioltezza, è quasi più cinese di tutto quel che suona prima, e i tre movimenti delle Danze Sinfoniche op. 45 di Rachmaninov (pure non un capolavoro, con citazione dalla Totentanz di Liszt, che il pianista Sergei conosceva bene e bene eseguiva) dicono che la Shanghai Symphony Orchestra ha un suo posto nel panorama internazionale, non troppo in alto. Più squilli, forza e volume che finezza e dettagli, e qualche saturazione nella Shanghai Symphony Hall. Ma fa onore una presenza femminile che sfiora la metà dell’organico.
Carlo Mari a Cella
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