Donizetti – Lucia di Lammermoor

Donizetti - Lucia di Lammermoor

interpreti N. Dessay, P. Beczala, V. Sulimsky, I. Bannik
direttore Valery Gergiev
orchestra teatro Mariinsky
2 cd Mariinsky 0512

Mi sento di offrire un suggerimento, a chiunque consideri Natalie Dessay una grande artista (quanti non la amano non ne hanno bisogno, perché insensibili al teatro e quindi ad ogni discorso che esuli dal mero tecnicismo corredato dei soliti rimpianti d’una supposta età mitica sempre più remota; i custodi del cimitero degli elefanti sono disoccupati, quando volano le aquile): sentire questa registrazione una seconda volta. Stando solo alla prima, difatti, si rischia quanto è capitato a me: indispettito dall’assenza di quanto mi aspettavo, non ho afferrato quanto invece c’è. Una Lucia molto diversa da quanto questo geniale scricciolo ci ha fatto amare follemente. S’è replicato difatti quanto a suo tempo accaduto con la seconda incisione della Callas: accantonata perché priva della tempestosa aura tragica della prima, senza avvedersi delle infinite sfumature di grigio con cui prendeva forma un ritratto ben altrimenti sfaccettato, ambiguo, insomma interessante. Con Natalie, ci si attendeva la replica della sua Lucia nevrotica, allucinata, tutta febbrili soprassalti di sbigottita dolcezza straziante e di paurosi vuoti della ragione che s’era vista e ascoltata alla ripresa alla Bastille del celeberrimo spettacolo di Serban con le sue passerelle di ferro, l’altalena, i continui saliscendi. S’ascolta invece un canto sommesso, un’elegia lancinante i cui colori svolgono una vera e propria sinfonia di grigi, lungo legati tutti a fior di labbra, lamine di suono che non ci si sofferma neppure a considerare se siano intrinsecamente belli o no, tanto intrisi sono di dolcezza estenuata, indifesa fin dal suo primo apparire e poi sempre più sgomenta, incapace di comprendere quanto le sta attorno e che attraversa come sulle punte, una Giselle avvolta d’un velo cinereo da cui sorte uno straziante melodizzare, dalla tragicità di tanto più assoluta in quanto semplice, direi persino quotidiana. Una Lucia diversa da tutte, anche dalla sua. Può piacere oppure no, giacché essendo tutta costruita sull’accento chiama in causa molto più il teatro – faccenda quindi parecchio soggettiva – che la tecnica vocale, assai più oggettivamente valutabile: ma che sia una Lucia di portentoso spessore espressivo, non ci piove.
Molto bella, tra le migliori dell’intera discografia anzi, la direzione: che è perfettamente complementare al canto della protagonista nella sua ricerca d’una drammaticità nient’affatto fosca e dalle tinte marcatamente contrastata, bensì chiaroscurata al massimo, nervosa nei tempi, accuratissima nella valorizzazione d’ogni dettaglio strumentale (ivi inclusa una meravigliosa armonica a vetro) grazie anche a un’esecuzione di strepitosa precisione (quei corni!) e all’assoluta integralità, ivi inclusi ogni ripresa – variata – e ogni recitativo di raccordo. Attorno a due personalità di simile rilievo, purtroppo, il vuoto o quasi. L’Edgardo di Beczala, speriamo solo per un momento di pessima forma, è l’ombra di quello fatto ascoltare nel video dal Met; Sulimsky ha il solito gran materiale che una linea gutturale, sgraziata e prodotta più dalla contrazione della gola che dal sostegno del fiato rende ruvida e inespressiva; il Raimondo di Bannik mugghia, l’Arturo di Voropaev è stonato da paura, i ruoli di fianco sono uno spavento, e il coro canta bene ma tutto forte.

di elvio giudici


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306 Novembre 2024
Classic Voice