pianoforte Matteo Fossi quartetto Savinio
Ambizioso e audace l’accostamento di due capolavori così diversi tra loro da parte di interpreti tanto giovani, che tuttavia reggono brillantemente il confronto discografico con formazioni assai più collaudate e celebri. Il quartetto intitolato ad Alberto Savinio – fratello di Giorgio De Chirico, intellettuale fra i più curiosi ed artista tra i più eclettici – è stato fondato nel 2000 da quattro strumentisti formatisi alla Scuola di Musica di Fiesole, dalla quale proviene anche il fiorentino Matteo Fossi oggi trentatreenne. Caratterizzata da suono morbido, pieno e incisivo, calibrato sul colore del pianoforte, la lettura del Quintetto di Dvorák è all’insegna d’una cantabilità appassionata ma mai spampanata, frequente rischio per tanta musica slava. Emblematico dell’intero contenuto formale e spirituale dell’opera è l’irresistibile Dumka, caratteristico tempo di danza popolare slava, dove il compositore sfrutta senza riserve quell’ingrediente tipico dello stile boemo che è il contrasto fra tonalità maggiori e minori. Tutt’altro spessore e tutt’altra atmosfera nel Quintetto di Sostakovic, la cui attrattiva, immediata e irresistibile, risiede nella vitalità e nella mutevolezza della musica, che alterna una severa austerità – d’ascendenza bachiana, come il Preludio d’apertura – a una commossa rivisitazione d’alcuni stilemi del folclore tradizionale. Musica, esaltata dai nostri eccellenti interpreti con un caleidoscopio di sonorità e di alternative agogiche, che da dopo l’entrata in scena del pianoforte vira verso un’atmosfera di sensualità sempre più struggente, con screziature d’inquietante sovreccitazione.
giancarlo cerisola