[arciliuto] Massimo Lonardi
[tiorba e chitarra barocca] Lorenzo Micheli
[chitarra barocca] Matteo Mela
[cd] Stradivarius 33781
Alle estreme propaggini italiane del Rinascimento, all’inizio del Seicento, gli strumenti a risuonare di più erano ancora liuti e chitarre, essendo le tastiere di Frescobaldi la più radicale delle avanguardie. La produzione per strumenti a pizzico, tuttavia, complice il ruolo di questi ultimi nella neonata prassi del basso continuo, aveva abbandonato il virtuosismo trascendentale degli “antichi” Francesco da Milano e Giovanni Antonio Terzi per votarsi a forme, ritmi e armonie altrettanto se non più vistose ma d’inferiore idiosincrasia, più appariscenti e, al tempo stesso, più dialogiche (a chiosa di una cultura oggi ignorata dai più che vedeva nel dialogo il mezzo di comunicazione ideale – il “Cortegiano” di Baldasar Castiglione docet). Ideale dialogo tra raffinati amici sono le intavolature di Andrea Falconieri (1585-1656), liutista dai molti e avventurosi viaggi, autore di danze garbate, sempre gaie e spensierate, anche laddove qualche impalpabile velo di tristezza si scopre poi essere la caricatura di se stesso. Tali caratteristiche spiccano ancor più salienti dal confronto tra la scrittura di Falconieri e quella dei suoi rivali dell’epoca (come Giovanni Girolamo Kapsberger o Alessandro Piccinini) di cui l’incisione si arricchisce; ne sono artefici Massimo Lonardi, liutista sommo dei giorni nostri, Lorenzo Micheli, chitarrista di fama mondiale approdato con la sua consueta bravura agli strumenti antichi, e Matteo Mela, suo abituale e abile partner in duo. Dialogo… ma tutto interiore, perché sembra che i tre strumentisti quasi non abbiano bisogno di “parlare” fra loro, tanta, e immediata, è l’intesa percepibile dalla loro musica. Un’intesa volta alla semplice e nobile eleganza, lezione di musica che piove dal cielo più terso sul capo dei tanti, troppi altri dischi di musica simile ma svilita da corde strappate e percussioni plebee.
Carlo Fiore
