soprano Mélanie Boisvert baritono Lionel Peintre pianoforte Alain Jacquon cd Timpani 1C1199
Un disco raffinato e discreto che ravviva l’immagine di un compositore il cui profilo è andato fatalmente confondendo i suoi tratti nella visione sempre più scorciata del paesaggio francese, disegnata da presenze ben più decisive. Eppure in questo paesaggio Philippe Gaubert è intimamente calato nel viverne alcuni caratteri inconfondibili, nella sensibilità armonica e soprattutto nel modo di sentire il rapporto con la parola. Flautista, allievo del celebre Taffarel, direttore d’orchestra che ha avuto una posizione di rilievo, specie nel coltivare il repertorio wagneriano, Gaubert – nato a Cahors nel 1879, scomparso a Parigi nel 1941 – è stato anche un prolifico compositore toccando vari generi, dall’opera al balletto, dalla sinfonia alla produzione cameristica. Ma forse l’aspetto più rivelatore della sua acuta sensibilità lo si può cogliere nel ricco lascito dedicato alla voce, una novantina di mélodies di cui il disco offre una scelta sapientemente articolata nel percorso cronologico come nelle scelte poetiche; nelle quali rivive quella temperie simbolista che domina i primi decenni del secolo, rinnovata da testimoni più illustri quali Fauré e Debussy. Sono le liriche di Verlaine, di Henri de Régner, di Baudelaire, di Jean Moréas ma soprattutto quelle di Paul Fort che con la sua più diretta forza comunicativa, la stessa che troverà significativo riscontro in Georges Brassens, sembra aderire più direttamente a quella naturale felicità dell’invenzione musicale che innerva il linguaggio di Gaubert, dove più vaghe appaiono le sollecitazioni della “modernità” come pure le nostalgie verso il passato. Si può cogliere qua e là l’ombra di Fauré, specie in certe incidenze cadenzali, ma si tratta di vaghezze che sfumano entro una più arioso discorrere, un tessuto trasparente che avvolge la poesia prolungandone le suggestioni. Tratti che gli esecutori gestiscono con ammirevole misura.
Gian Paolo Minardi