interpreti A.Pendatchanska, S.Im, B.Mehta, J.Rivera, M.Fink, N.Davies, D.Visse, D.Schmutzhard
direttore Rebé Jacobs
orchestra Akademie für Alte Musik Berlin
3 cd Harmonia Mundi 902088
Quando, nel 2000 agli Champs-Elysées, Jacobs portò in scena Agrippina con la regia di David McVicar, formò con la Theodora di Christie-Sellars e col Giulio Cesare Bolton-Jones la terna di pietre miliari grazie alle quali si mise definitivamente agli atti che prima di tutto il teatro barocco – in generale, ma in particolare quello di Händel che ne costituisce il vertice – è uno dei teatri più teatrali che c’è; che il barocco apre il campo forse più sterminato a registi provvisti di talento e fantasia; che Agrippina, lungi dall’essere quell’opera minore che un’estetica crociana aveva decretato sulla scorta del suo essere quasi interamente costruita attraverso il riciclo, è invece un supremo capolavoro di teatro musicale, coi due termini perfettamente paritetici tra loro. E proprio per questo, la presente registrazione è nel contempo un capolavoro e una ciofeca. Ma come? Jacobs la porta due volte in scena con due spettacoli diversi (anche nei risultati scenici, però, va detto) e nessuna delle due riesce ad affidarla a un video? Un assurdo che, nel caso dello spettacolo di McVicar, sconfina nel crimine teatrale: anche perché una registrazione di studio è, oggi come oggi, di costo forse addirittura superiore a quello d’un video dal vivo. Comunque, una volta superato questo invero duro preambolo e sforzandosi di accostarsi a un’opera attraverso l’ormai sempre meno appagante – almeno per me – abitudine del solo ascolto, questa registrazione è bellissima. In primo e decisivo luogo, proprio per le sue qualità teatrali. Recitativi “recitati” in sommo grado dal primo all’ultimo (e sono tutti strepitosamente belli), con sottigliezza, fantasia, incisività espressiva sensazionali. Profili strumentali nitidi, di varietà dinamica estrema il cui perenne pulsare sospinge sempre in avanti la narrazione, sfrangiandola nel contempo di chiaroscuri che ne approfondiscono i profili psicologici creando un divenire addirittura mozzafiato, da grandioso thriller politico. E un canto da valutarsi appunto ponendosi da quest’ottica eminentemente teatrale. L’Agrippina della Pendatchanska non è sul livello d’altronde inarrivabile dell’Antonacci, ma neppure sfigura più di tanto: viperina, passionale, ironica, proterva, insinuante, la sua palette espressiva è formidabile anche senza poterla vedere. Marcos Fink è un po’ tanto ruvido anche per una figura come Claudio: ma riesce comunque ad esprimere con sufficiente varietà il più colossale personaggio che Händel abbia affidato alla corda di basso. Bejun Mehta è d’intere spanne l’Ottone più riuscito che si sia mai ascoltato, laddove Jennnifer Rivera è un Nerone forse un po’ pallente, e Sunhae Im canta senz’altro bene (“Se giunge un dispetto”, con l’iradiddio del suo virtuosismo, è manovrata con indubbia abilità: e il duello concertante con uno strepitoso oboe è tutto da ascoltare), ma i suoi accenti sanno un tantino troppo di certosino lavoro sillaba su sillaba.
elvio giudici