interpreti M.E. Cencic, R. Donose, L. Claire, V. Yi, P. Magoulas, X-Sabata, J. Sancho direttore George Petrou orchestra Armonia Atenea 2 cd Decca 4788764 prezzo 26,80
“Quintili Vare, mihi redde legiones meas!”, Varo, rendimi le mie legioni: ai miei tempi liceali restava molto impresso (anche perché tra le poche sue frasi relativamente facili da tradurre) questo grido che Svetonio metteva in bocca a un Augusto descritto vagante in angoscia per le stanze del palazzo imperiale.
Il Varo in questione fu un generale romano memorabilmente sconfitto e ucciso nella selva di Teutoburgo da Arminio, principe dei Cherusci, nella Germania nord-occidentale divenuto eroe nazionale quindi leggenda. Come molte leggende, logico se ne facesse personaggio teatrale, specie nel Settecento alla ricerca di consolidati modelli da usare quali metafore etiche o sociali del presente: Antonio Salvi stese un libretto utilizzato prima da Scarlatti e poi da Hasse, che trent’anni dopo Händel, volgendo al termine la sua carriera teatrale prossima a essere sostituita dall’oratorio, riutilizzò solo tagliandone la maggior parte dei recitativi.
Arminio ha una moglie, Tusnelda, e ambedue s’amano; ha pure una sorella, Ramise, innamorata di Sigismondo, figlio dell’alleato germanico Segeste che è anche padre di Tusnelda. Fin qui tutto bene, dato che ciascuno ama chi lo riama: la complicazione risiede nel fatto che Segeste tradisce, consegnando Arminio al generale romano Varo che è anche lui innamorato di Tusnelda. Quindi Ramise si trova divisa tra un padre e un amante figlio di traditore; Segeste, per amore del potere, si gioca figlia (nonché genero) e figlio; Tusnelda cerca d’ottenere vita e libertà di Arminio a prezzo del solito “orribile mercato” ben noto ad ogni amante del melodramma. Tutti i sentimenti e le ideologie care al Settecento (onore, fedeltà, lealtà, dovere), assieme ai loro contrari riassumibili soprattutto nella lotta per il potere, sono presenti sulla scacchiera del dramma: i loro movimenti, intrecci e contrasti, sono un po’ rigidi ma sufficienti ad accendere in molti punti la fantasia di Händel, che tra l’altro sarà anche stato naturalizzato inglese, ma sempre tedesco era, e non poteva quindi mancare di provare particolare interesse nei confronti d’una figura come Arminio che attraverso varie peripezie, ma in primo luogo per virtù propria, sbaraglia i Romani ponendo il primo germe del riscatto di quelle terre.
Alla guida del suo eccellente complesso, Petrou si conferma nella pattuglia di testa dell’agguerritissimo gruppo che incalza la finora intangibile Sacra Trimurti del barocco (Christie, Minkowski, Jacobs), compagno in questo del campione di Cavalli, Garcia Alarcon. Incisività ma mai asfissia ritmica, generosità melodica senza cincischi, esaltazione del virtuosismo senza renderlo autoreferenziale: in una parola che sacrosantamente le riassume tutte, grande teatro in tutto degno del sommo teatrante che sempre si mostra essere Händel. Cast che schiera ben tre controtenori, uno più bravo dell’altro e scelti con grande cura nel differenziarne i timbri. Cencic è sempre più bravo, nei panni del protagonista; Sigismondo, destinatario delle arie più personali dell’opera, è affidato alla voce limpida, luminosa, flessibilissima di Vince Yi; Xavier Sabata risolve splendidamente lo strano personaggio Tullio, uno che attraversa tutta l’opera commentando e sputando sentenze, cui pertiene il racconto della sconfitta e morte di Varo. Ruxandra Donose canta molto bene, e solo le latita alquanto la personalità che invece Ramise dovrebbe avere: quella mostrata viceversa dall’ottima Layla Claire nei panni di Tusnelda.
Elvio Giudici