Pianoforte Maurizio Baglini
cd Decca 476 4418
Bene ha fatto la Decca a proseguire il proprio sostegno nei confronti di un pianista bravo e intelligente come Baglini, che riesce sempre a proporre letture interessanti e a loro modo “nuove” soprattutto nel caso di pagine note superficialmente soltanto per il loro impegno virtuosistico. Il secondo volume dedicato alle trascrizioni bachiane di Busoni è a questo riguardo paradigmatico e in questo caso Baglini riesce là dove non era riuscito Pietro Spada molti anni fa nel corso di una simile integrale, ossia a unire la rigorosità della proposta a un livello di pianismo trascendentale che permette persino il confronto con alcuni esempi da capogiro della storia del disco. Parlo ovviamente della storica registrazione (anni ‘30) del Corale Bwv 734a da parte di Horowitz e della più recente ma altrettanto famosa esecuzione del Preludio e Fuga Bwv 532 da parte di Gilels. Baglini, che sfoggia per tutto il disco una capacità straordinaria di giocare con i timbri e le mezze voci, raggiunge nel primo caso una velocità di esecuzione paragonabile al mito, se non la medesima perfetta timbratura del cantus firmus, e si avvicina molto nel secondo esempio all’ideale sonoro del grande maestro russo che risolveva le enormi difficoltà dello spartito anche ricorrendo a una palette timbrica di fascino estremo. Di ancora maggior valore perché prive di confronti di altissimo livello sono le esecuzioni degli altri Preludi Corali e della versione busoniana della Fantasia cromatica.
Meno riuscito a mio parere è il cd inciso per la Decca e dedicato a celebri pagine lisztiane (cui si aggiunge la molto meno nota Fantasia sulla “Clochette” di Paganini). Qui si fa più evidente la disparità tra il potenziale virtuosistico del pianista e l’effettiva forza travolgente richiesta dalla scrittura lisztiana almeno nel Mephisto Valzer n. 1 e negli Studi da Paganini, nel senso che non tutti i dettagli possono essere resi in maniera convincente rinunciando a un approccio “di bravura” più tradizionale. Mi perdoni Baglini, e non lo voglia interpretare come un confronto negativo, se il suo Liszt mi riporta alla mente certe esecuzioni elegantissime e controcorrente di Nikita Magaloff, un pianista che aveva gli Studi da Paganini sulla punta delle dita e li rendeva con una scioltezza e una leggerezza impagabili pur senza attingere a una tecnica da supervirtuoso. Divertente ma un poco artificiosa è la cadenza di Paolo Marzocchi per la seconda rapsodia ungherese, un omaggio a una tradizione che partendo da Liszt stesso era proseguita attraverso esempi prestigiosi come quelli di Rachmaninov e ancora di Horowitz.
di Luca Chierici