Maria Callas Remastered – The Complete Studio Recordings (1949-1969)

interprete Maria Callas
direttori, orchestre, solisti vari
69 cd Warner Classics 2564633991
prezzo € 287

 

pure-callas

La musica possiede madeleines già di suo ben più evocatrici di quelle di Proust: ma soprattutto ben più stimolanti, giacché nei casi migliori non di temps perdu si tratta, bensì dello srotolarsi d’un filo rosso che nell’allacciare ai diversi ieri il nostro oggi consente di capirlo meglio per meglio andare avanti. Maria Callas è uno dei fili rossi più tenaci che il teatro musicale abbia mai avuto nell’ultimo secolo, quello nel quale esiste il disco e quindi documenta coi suoni la propria storia esecutivo-interpretativa. Callas, i cui dischi non sono mai usciti di catalogo. Caso quasi unico nella storia del disco, questo.
Si disse, all’epoca, che i “vedovi Callas” sfogavano il loro lutto ricomprando ogni ristampa. Non ci ho mai creduto ma, anche fosse stato vero, poi le vedovanze non sono mai eterne: e dunque chi le comprava, le ristampe che periodicamente la Emi mandava nei negozi, mai facendo mancare nessun titolo di opera completa e riassemblando in modo talora parecchio discutibile i vari recital? La risposta può essere una sola: i giovani, o comunque chi era venuto dopo la valanga massmediatica che, si soleva dire (i detrattori lo dicevano fino a perdere il fiato; e la faccia), vivente la Callas suggestionava alimentando tale sempre rifiorente mercato discografico. Giovani e neofiti che, udita per vie talora sorprendenti questa voce, ne rimanevano colpiti. Perché? Solo una risposta possibile: quanto essa esprimeva toccava corde capaci di vibrare a lungo nell’immaginazione.
Voce: dunque timbro, col suo colore di base (brunito, talora persino un po’ fosco, comunque inconfondibile e subito riconoscibile anche nel più folto dei concertati) che tuttavia – questa voce non essendo mai autoreferenziale bensì di un’artista autentica – muta di continuo modellandosi lungo una tavolozza sterminata perché sempre diverso è quanto è chiamata a esprimere incarnandosi nei diversi personaggi. Comunque una voce: dunque, suono. La qualità con la quale esso esce dagli altoparlanti non può ritenersi un semplice optional. I vecchi vinile suonavano molto bene: specie se appena comprati, giacché è noto come ad ogni ascolto era un bel po’ d’armonici che da quei solchi se ne andava, insieme al crescere di fruscii e ticchettii vari. Ogni ristampa, comunque, clone della precedente. Poi arrivò il cd: e subito, la Emi riversò tutte le registrazioni della Callas nel nuovo formato. Ma appunto: riversò. Partendo cioè dallo stesso materiale, senza nessun lavoro su di esso che non fosse l’alzare non di poco i livelli grazie alla più ampia gamma di frequenze che il nuovo formato assicurava, in aggiunta a una riduzione dei rumori di fondo ottenuta tagliando frequenze in modo lineare e non selettivo perché allora non era possibile. Ma proprio questo livello genericamente più alto ha provocato non pochi problemi. Prima di tutto, un rapporto voci-orchestra alterato nell’evidente sforzo di portare sempre e comunque in primo piano quelle a detrimento di questa. Poi, il timbro della Callas faceva ascoltare certe vibrazioni metalliche in alto che chi l’ha ascoltata in teatro si ricordava benissimo ci fossero, sì, ma in misura sensibilmente inferiore e comunque mai così invadenti come suonavano in quei riversamenti prossimi alla distorsione vera e propria.
Sicché è stato con un po’ di scetticismo, che ho ascoltato il contenuto di questo maxicofanetto rosso che raggruppa al gran completo il corpus discografico – Emi e Cetra – della Callas: tutte le opere e i recital, con tanto di copertine originali. La faccio breve: una meraviglia.
Come già anticipato due numeri fa, ad Abbey Road hanno lavorato sui nastri originali, utilizzando tutte le possibilità offerte dalla tecnologia più sofisticata non per edulcorare o “liftare” il suono, ma per un restauro paragonabile a quello col quale vecchi capolavori del cinema emergono con tutta la brillantezza e la gamma cromatica originali: recuperando quella pienezza d’armonici e quell’ottimale rapporto con lo strumentale che aveva in sala d’incisione. Nel grosso fascicolo d’accompagnamento, leggere l’elenco degli innumerevoli problemi posti da quegli antichi nastri, e il come sono stati ad uno ad uno risolti, per l’appassionato discografico è veramente affascinante. Ma ancor di più, ovvio, è l’ascoltare il prodotto finale (purché, beninteso, non lo si ascolti con gli altoparlantini del computer ma con un impianto decente; d’accordo, siamo in tempo di crisi, correttezza imporrebbe evitare discorsi d’élite: ma la differenza tra la cucina surgelata d’un baracchino di periferia e quella che ci cucinava la nostra mamma grande cuoca, se c’è c’è): la voce della Callas “suona” come non l’avevo mai ascoltata riprodotta, e come la memoria di remote serate la conservava tra le ragioni più serie per cui ho deciso che avrei amato il teatro musicale.
Fa un po’ impressione, a un vecchietto come me, metter su un disco di Maria Callas e leggere sull’etichetta il marchio Warner anziché Emi, magari con tanto di cagnolino Nipper accanto al grammofono a tromba: ma dato questo risultato, francamente non me ne importa proprio nulla. Da adesso, Maria Callas incide per la Warner. E più che mai fa ascoltare un teatro musicale non di mezzo secolo fa, ma del prossimo.
Elvio Giudici

 


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