Mayr – [e Donizetti] Requiem

solisti S. Thornhill, T. Holzhauser, M. Schäfer, M. Berner e altri
ensemble e coro Simon Mayr
primo violino Theone Gubba-Chkheidze
direttore Franz Hauk
2cd Naxos 8.573419-20
prezzo 12,60

Mayr

Nel Dies irae in undici sezioni durano poco le drammatiche armonie di settima dell’esordio, e basta ascoltare l’agile quintetto rossiniano su “Quantus tremor est futurus”, oppure “Liber scriptus”, aria di bravura per tenore con legni concertanti, per avvertire una certa comprensione verso l’educato anatema di San Pio X (1903): “Fra i vari generi della musica moderna, quello che apparve meno acconcio ad accompagnare le funzioni del culto è lo stile teatrale, che durante il secolo scorso fu in massima voga, specie in Italia”. Per rivolgersi a Dio in simili accenti ci voleva proprio la filiale parrhesia di un cattolico allevato in Baviera dai Gesuiti e stabilitosi a Bergamo onde espiare, da maestro di cappella e istruttore di fanciulli poveri, i successi di un’intensa carriera di operista (che capolavoro al nero la sua Medea in Corinto!). Per la qual cosa aveva persino rifiutato un allettante contratto alla corte di Napoleone.
Dopo un certosino lavoro di ricostruzione su un’edizione a stampa del 1819 e la bellezza di dodici frammenti manoscritti conservati alla Civica di Bergamo, il Simon Mayr Ensemble – per la cui attività il maestro Franz Hauk è stato insignito del Verdienstorden dalla Repubblica federale tedesca – ci restituisce in tutta la sua fluviale e anfibia bellezza questa Gran Messa di Requiem in Sol minore della durata di quasi due ore. Ad esso mise mano per un paio di versetti, come d’uso nell’antica bottega artigiana, anche un certo Gaetano D., l’allievo più riuscito di tanto maestro.
Ottima concertazione corale e orchestrale cui contribuisce efficacemente una Konzertmeisterin georgiana di bellissime speranze, i nove giovani solisti di canto quasi tutti all’altezza.
Purtroppo nemmeno un italiano fra loro, eppure tutto fila liscio perfino nella dizione secondo il doveroso modello cattolico-romano (niente “parze Deus” né “Agh-nus Dei”, tanto per capirci). Piccole note di demerito a carico del contralto Theresa Holzhauser, che avrebbe anche bel colore ambrato ma pare calante nell’intonazione, e qualche problema di fraseggio nella micidiale parte di primo corno; ad esempio nell’attacco di “Oro supplex”, là dove il suddetto allievo andava facendosi la mano nello stile di cabaletta. Ma nel complesso la produzione, confezionata sobriamente secondo il costume di casa Naxos, meriterebbe una croce di cavaliere italiana o vaticana a rincalzo di quella tedesca già ottenuta.
Carlo Vitali

 

 

 

 


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306 Novembre 2024
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