Orefice – Chopin

Orefice - Chopin

interpreti S. Harrison, M. Godlewski, E. Vesin, D. Konieczek, E. Kuznetsova 
direttore Ewa Michnik
orchestra Wroclaw Opera
2 cd Dux 0775-6

Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco: Orefice non è il Licinio Refice autore di quella Cecilia tre arie della quale sono sopravvissute perché qualche grande soprano (sulla scorta della Tebaldi che le amava molto) le infilava nel proprio repertorio concertistico o discografico. Vicentino vissuto negli ultimi scorci dell’Ottocento, per breve tempo compositore e per molto didatta, critico, operatore culturale: nel 1901 ebbe l’idea di utilizzare brani di Chopin per narrarne la vita in quattro stazioni temporali e geografiche: Natale (Polonia, il ragazzo immerso nella contemplazione della Natura e nella felicità festiva); Aprile (Chopin è l’idolo di Parigi, suona lo Scherzo op. 31 e vicino a lui siede Flora, probabile pseudonimo di Amandine Dupin alias George Sand); Tempesta (siamo nella Certosa di Maiorca, dove Chopin già malato senza speranza visse i giorni tormentosi e visionari del suo amore con la Sand); Autunno (l’agonia a Parigi). Il tutto in versi, firmati da tal Angiolo Orvieto. Impossibile darne un’idea: sono così orripilanti da riuscire persin suggestivi, li recitasse anzi Paolo Poli sarebbero irresistibili oltre che parecchio istruttivi su quanto certa spaventevole tradizione possa affermarsi al punto da elidere la realtà sovrapponendovisi senza rimedio. E così Chopin è il genio malato, simbolo del romanticismo, amore morte e musica: e giù cascami di retorica tanto trombona da imprimersi nella memoria in modo difficile da sradicare. Non so se qualcuno ricorda L’eterna armonia di Vidor, con la Sand di Merle Oberon che ha piantato Chopin morente e va a farsi ritrarre, le comunicano che lui la cerca e lei, gelida, “Procedete, signor Delacroix!!”. Qui uguale: procedete, maestro Orefice. Melodie spampanatissime, schianti di ottoni a fare tempesta, involi (oddìo, involi: zampettii) di violini a fare melanconia, canto a gola spiegata per fare chissà che. Una volta di più, per inciso, si ha la prova provata che i compositori di quel periodo erano i peggiori nemici di se stessi: che bisogno c’era di rendere così difficile la parte del protagonista? Puntualmente, la sentiamo massacrata. E gli altri stanno negli immediati paraggi. Che Dio ci scampi dagli anniversari: per dirla con Simone, “gran Dio, risorgon dalle tombe i morti!”.

di elvio giudici


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306 Novembre 2024
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