ensemble John Holloway cd Ecm 2249
È luogo comune constatare il contributo relativamente limitato dei nativi inglesi alla storia della musica, constatazione che viene confutata da alcuni lasciti che assurgono al miracolo, uno dei quali sono le Fantasie di Henry Purcell, esempi sommitali del repertorio cameristico che chiunque desidera o ambisce suonare e che si potrebbero riascoltare all’infinito. Questi contrappunti a quattro parti (salvo due casi a tre), oltre a esplorare le possibilità dell’imitazione in dialogo con lo stile accordale, proseguono nella declinazione della melancholia tardo-rinascimentale
collocandosi, come tutto Purcell, in un Barocco speciale, visionario e arcaizzante al contempo, restio alle catalogazioni. Nell’adottare
un organico proto-quartettistico a soli strumenti da braccio (violino, due viole e violoncello), John Holloway si sottrae ai numerosi paragoni con le esecuzioni affidate alle viole da gamba e va alla ricerca di un suono assai teso e volutamente “nebbioso”, come di una specie di ghironda gigante che, nel girare, intona le sorti dell’umanità tessendo fili musicali tesi dinanzi alle forbici delle Parche. Usando strumenti che, rispetto alle “gambe”, parlano di meno e cantano di più, si giustificano alcune incrementate rapidità nel gesto, ma vengono a mancare alcuni momenti dove Purcell anela allo struggimento oppure cerca rifugio nel calore umano perché tira sempre un vento freddo e sferzante.
Carlo Fiore