pianoforte Alexander Lonquich 2cd Alpha 433 prezzo 18,80
La messa a fuoco di questa proposta, centrata sull’ultimo anno schubertiano, nasce come esito di una riflessione che ha radici profonde e che individua quei tratti che fin dai primi anni hanno contrassegnato il cammino di Alexander Lonquich, quella curiosità intellettuale che, quasi a contrappesare la sorprendente naturalezza di eloquio con cui si era rivelato, ancora adolescente, con la vittoria del Concorso “Casagrande” (proprio con una delle tre ultime Sonate di Schubert, indimenticabile per chi era presente), ha agito quale stimolo a ricercare, ad andare a fondo, sia nell’esplorazione dei territori più svariati, compresi quelli impervi della contemporaneità, che in quelli delle ragioni stilistiche, osservate con la coscienza dell’attualità; scandaglio inquieto che ha affondato con intensa inclinazione nell’oscurità delle acque schubertiane. Un autore, Schubert, che Lonquich ha assiduamente coltivato, con inesausta tensione, alla ricerca di quel che di enigmatico si cela sotto il velo accattivante del creatore di melodie ineffabili se non addirittura di un’oleografica “viennesità”. L’arcata disegnata dalle tre Sonate di questo disco intende a svelare tale enigma, nel modo più intrinseco, quello stimolato da un linguaggio che plasma la forma non più in termini di stringente contrasto. Esorcizzata così la presenza beethoveniana, che pur traluce in più di un atteggiamento ma non nella “funzione”, Lonquich ha ricreato la sequenza del trittico come un viaggio attraverso la memoria, la Winterreise fatalmente sullo sfondo ad evocare un paesaggio sonoro tendenzialmente declinato verso un “mezzoforte” che improvvisamente viene squarciato da impressionanti sussulti, come lo scoppio – “senza precedenti nella storia della musica” scrive Lonquich nella sua densa prefazione – nella parte centrale dell’Andantino della Sonata in La maggiore, che suona come uno sconvolto ritorno alla realtà; ma pure un paesaggio dal quale affiorano quasi puntigliosamente, da un’intima penombra, tracce di voci secondarie solitamente protette da zone più ombreggiate; per non dire delle pause, degli straniti silenzi che dalla “narrazione” spostano l’asse verso il monologo interiore; come quello filtrato da impalpabili trapassi che Lonquich distilla nel lungo Andante sostenuto della Sonata in Si bemolle, meditazione dolorosa che prolunga le sue ombre oltre, insinuandosi tra la freschezza liberatoria dello Scherzo e l’intento diversivo del Finale dal cui divagare sembra che Schubert non voglia separarsi se non a malincuore.
Gian Paolo Minardi
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